Mondo

I sequestratori di Silvia accerchiati nella foresta

Si trovano in un'area contesa tra due gruppi etnici. Il conflitto potrebbe favorire la liberazione

I sequestratori di Silvia accerchiati nella foresta

Un conflitto etnico tra due tribù potrebbe favorire la rapida liberazione di Silvia Romano, la cooperante milanese rapita in Kenya lo scorso 20 novembre. Attualmente la giovane si trova nelle mani di un gruppo musulmano, vicino ad Al Shabaab, di etnia Orma. Il piano originale dei sequestratori era quello di attraversare la foresta di Arabuko-Sokoke, raggiungere la Dodori National Reserve, e vendere l'ostaggio a un altro gruppo che l'avrebbe introdotta in Somalia. Per potersi muovere, gli Orma devono però transitare nella regione controllata dall'etnia Pokomo, gruppo essenzialmente dedito alla coltivazione della terra. Orma e Pokomo sono in guerra dal 2007: scontri per il controllo di alcuni terreni e delle risorse nella regione del Delta del Tana sono all'ordine del giorno e i rapitori di Silvia non sono (per fortuna) riusciti a sfondare la zona a nord est, rimanendo intrappolati.

In questo momento i sequestratori e l'ostaggio sono stati localizzati sulla direttrice Kibusu-Minjila, a circa 70 chilometri da Chakama, teatro del rapimento. Si tengono a debita distanza dai Pokomo, ma devono fare i conti anche con le forze di polizia e i militari che li stanno braccando dall'altra parte della barricata, ovvero a sud del fiume Tana, che divide la contea di Tana da quella di Lamu. Tutto questo lascia ben sperare per una resa incondizionata. Nel frattempo la giovane sarebbe stata costretta a indossare un niqab, il famigerato abito musulmano integralista che lascia scoperti solo gli occhi.

È invece stata confermata l'informazione, circolata in questi giorni, secondo la quale i sequestratori le avrebbero tagliato le trecce con un coltello. Il capo della polizia Noah Mwivanda ha confermato infatti che le ciocche dei capelli ritrovate domenica scorsa nella foresta a nord di Malindi appartengono all'ostaggio italiano. Tra vere e presunte testimonianze di chi per mettere in tasca 1.000 scellini (l'equivalente di 8 euro) è disposto a raccontare qualsiasi cosa e il suo contrario, l'emittente locale Ntv ha riferito che alcuni abitanti della zona costiera avrebbero visto la volontaria italiana con i suoi rapitori. Le fake news circolate in questi giorni hanno mandato su tutte le furie il ministro delle Comunicazioni Joe Mocheru che ha minacciato «la chiusura di qualsiasi mezzo di informazione che diffonderà notizie non accertate o che potrebbero ostacolare il rilascio dell'ostaggio».

Intanto a Garsen, località a un centinaio di chilometri a nord di Malindi, è stato allestito il centro di coordinamento delle operazioni degli inquirenti. I militari kenyoti, supportati da agenti dell'intelligence italiana, stringono sempre di più il cerchio attorno ai rapitori, stremati da giorni di clandestinità nell'area circostante. La foresta di Arabuko-Sokoke si estende su un'area di 420 kmq e in alcuni tratti la vegetazione è talmente fitta (diventata ulteriormente rigogliosa per via delle recenti piogge) da rendere i sentieri inaccessibili. Si avanza metro dopo metro a colpi di machete per farsi strada tra arbusti e sterpaglie. Per queste ragioni sono state ingaggiate anche alcune guide che solitamente accompagnano i turisti per le visite nell'area.

Il teatro delle operazioni è impervio per le forze di polizia, così come per i rapitori di Silvia che hanno chiesto, collegandosi incautamente ai social (da qui l'arresto di Elima Abdi, moglie di Said Adnan Abdi, uno dei carcerieri), rifornimento di viveri.

Commenti