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I sospetti su De Benedetti dietro l'agguato al Cavaliere

La Stampa fa parte del suo gruppo. E il falso scoop ha dirottato l'attenzione dai contatti con Renzi sulle banche

I sospetti su De Benedetti dietro l'agguato al Cavaliere

La stampa (intesa come La Stampa e Il Secolo XIX) utilizzata come arma di distrazione di massa. le prime pagine dei due quotidiani sulla falsa notizia dell'inchiesta milanese sulla cessione del Milan fanno scattare il gioco del mandante, del cui prodest. A chi giova questo attacco mediatico a Silvio Berlusconi con l'accusa di riciclaggio? Una risposta potrebbe essere: l'ingegner Carlo De Benedetti. Egli è presidente onorario del gruppo Gedi (editore del quotidiano torinese e di quello genovese oltreché di Repubblica) e pochi giorni fa per la vicenda del presunto insider trading sulle Popolari è stato criticato proprio da colui che considera il suo arcinemico. Il Cavaliere, infatti, dichiarò: «È stato colto con le mani nella marmellata, al suo posto sarei stato crocifisso».

Lo stratagemma, infatti, è semplice: inventare un diversivo per distogliere l'opinione pubblica dalla notizia principale di questi giorni (e che Il Giornale aveva anticipato due anni fa): la telefonata fra l'Ingegnere e l'ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sulla riforma delle banche popolari. Per silenziare temporaneamente questo conflitto di interessi, questo rapporto incestuoso tra finanza e politica non c'era che un modo: colpire il bersaglio più facile, colpire Silvio Berlusconi. In mancanza di nuove sul fronte giudiziario del Cavaliere è stato, perciò, architettato un castello di fake news su un tema, in tutti i sensi da Bar Sport: la cessione del Milan da Fininvest al finanziere cinese Li Yonghong. Approfittando del bailamme montato dal New York Times, si è creato il caso della Procura di Milano che avrebbe ipotizzato addirittura il riciclaggio nei confronti di Berlusconi. Una bufala smentita dal procuratore capo di Milano, Francesco Greco.

È legittimo, pertanto, sospetto che Carlo De Benedetti, in qualità di ex editore di quel gruppo, possa essere il mandante di questa operazione. Basta leggere come ebbe ad autodefinirsi nel corso dell'audizione presso gli uffici Consob parlando dei propri rapporti con la Banca d'Italia e con l'allora premier Renzi. «Anche loro credo che abbiano interesse a vedere me, perché sono l'ultimo grande vecchio che è rimasto in Italia».

De Benedetti si raffigura come l'ultimo superstite del «salotto buono» perché ha «cominciato un po' prima di quelli che erano i miei colleghi, cioè Agnelli, Pirelli, a parte Gardini che si è sparato, ma diciamo facevamo parte di un certo establishment che oggi non c'è più». Ecco l'Italia di De Benedetti, per restare alla terminologia di Piazza Affari, è quella divisa in due: da una parte il «salotto buono» che sapeva dove investire e dall'altra il «parco buoi». Quel «salotto buono» che ha sempre dileggiato i self made man come Silvio Berlusconi. Quel «salotto buono» di cui una certa sinistra con «una certa idea dell'Italia» si è sempre sentita succube o, come direbbero al Bar Sport, verso cui ha sempre manifestato una certa sudditanza psicologica.

Una subalternità tale che l'Ingegnere, superadvisor di Matteo, aveva «il diritto di dirgli (a Renzi) che era un cazzone quando mi sembrava fosse il caso. Adesso sull'attacco alla Merkel non sono minimamente d'accordo. Lui lo fa lo stesso, eh! Ma proprio perché io sono semplicemente un vecchio signore che ha il privilegio di essere ascoltato e la facoltà di dire quello che vuole».

Il problema, perciò, sarebbe la cessione del Milan e non il fatto che un «grande vecchio» si arrogasse il ruolo di consigliori del premier, oggi segretario del Pd apostrofandolo come «cazzone» e affermando che «di economia capisce veramente poco». A sua volta Renzi è un tipino fino che considera il presidente della Commissione Ue Juncker «un cretino» e la Bundeskanzlerin Merkel una che «ha rotto i c...».

Lo stato pietoso dell'Italia si desume anche dalla qualità di questo establishment.

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