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«Via i sussidi e più espulsioni» Ora Merkel ha paura dell'islam

L'accoglienza le ha fatto perdere consensi fra i tedeschi. Così la Cancelliera prepara il dietrofront: «Non possiamo tollerare chi non vuole rispettare le nostre leggi»

Forse il 2016 non sarà - come ipotizza il Financial Times - l'ultimo anno della Germania con Angela Merkel, ma sembra l'ultimo dei tedeschi con la Cancelliera. I sondaggi parlano chiaro. Gli elettori infuriati per gli errori di valutazione che hanno spalancato le porte ad oltre un milione e 100mila immigrati stanno abbandonando al proprio destino la donna considerata, fino a qualche mese fa, il simbolo e il demiurgo della potenza tedesca. Stando a «Politbarometer», il popolare sondaggio telefonico dell'emittente tedesca Zdf, il 52% dei tedeschi considera assolutamente dannose le politiche sull'immigrazione di Frau Angela e non ha più fiducia in lei. E sempre secondo i dati di «Politbarometer» il 74% pensa che il modo in cui è stata gestita la crisi dei migranti rappresenti una seria minaccia per l'Europa. Anche perché, stando ad una nuova previsione economica pubblicata a fine anno dal quotidiano Die Welt, i costi per assistere ed integrare il milione e passa di nuovi arrivati sono raddoppiati passando a 16 miliardi e mezzo di euro rispetto agli 8 messi a bilancio, ai primi di novembre, dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Costi e sondaggi sono però poca cosa rispetto al grottesco e paradossale Capodanno di una Germania addormentatasi con il discorso di una Cancelliera decisa ad illustrare i benefici di un'accoglienza senza limiti e risvegliatasi con i resoconti della spaventosa caccia alle donne scatenata a Colonia da migliaia di migranti. Così la Merkel alle corde tenta un disperato ritorno al centro ring sfoderando quel decisionismo tanto caro ai suoi connazionali. Dopo aver ammesso che quelli di Colonia «non sono fatti isolati» promette serie conseguenze per «i ripugnanti fatti criminali» e s'impegna a valutare «se sia stato fatto tutto il necessario per rimpatriare gli stranieri macchiatisi di reati» offrendo «un messaggio chiaro a chi non intende rispettare le nostre leggi». La tardiva fermezza non cancella però le responsabilità di una Merkel che, dopo aver sottovalutato l'entità dell'ondata migratoria e ignorato i gravissimi rischi d'infiltrazioni terroristiche, è arrivata a scendere a patti, a nome dell'Europa, con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. I patti di fine ottobre - con cui Erdogan prometteva maggiori controlli sulle frontiere in cambio di tre miliardi a fondo perduto e l'eliminazione dei visti per i cittadini turchi diretti in Europa - si rivelano ora l'ultimo colossale errore della Cancelliera. Come fa capire il vice presidente della Commissione Europea Frans Timmermans gli accordi, stretti tra l'altro con un Erdogan sospettato di essere il vero artefice dell'ondata migratoria, sono un'autentica truffa. «L'unico indicatore valido sono le cifre dei migranti...ed è abbastanza chiaro che nelle ultime settimane queste cifre rimangono relativamente alte» - spiega Timmermans annunciando di esser pronto a volare ad Ankara per rivedere gli accordi discussi dalla Merkel. Mentre i vertici della Commissione Europa mettono in dubbio il lavoro della Merkel in Germania i suoi alleati sembrano decisi a rivederne totalmente le politiche. Da settimane Horst Seehofer, potente governatore della Baviera e capo della Csu partito gemello della Cdu della Merkel, ribadisce la necessità di porre un limite al numero di migranti da accogliere proponendo, per l'anno in corso, un massimale non superiore ai 200mila. E così proprio mentre in Baviera si presenta un David Cameron invitato dai leader della Csu la Merkel annuncia la possibilità di limitare le prestazioni sociali per gli immigrati. «È giusto riflettere se qualcuno senza lavoro in Germania abbia diritto ai contributi sociali perché questa - sottolinea la Cancelliera - non è l'intenzione della legge sulla libera circolazione».

In quella frase, pronunciata mentre il collega inglese è ospite dei leader della Csu, molti leggono un doppio passo indietro destinato da una parte a riavvicinarla al partito gemello e, dall'altra, ad offrire al collega britannico qualche argomentazione per placare quegli inglesi decisi a trascinare la Gran Bretagna fuori dall'Unione Europea.

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