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I tagli alla spesa che Palazzo Chigi non vuol fare

L'ex commissario alla spending review Perotti: «Me ne sono andato perché inutile»

I tagli alla spesa che Palazzo Chigi non vuol fare

Roma. «Ero andato lì con l'idea di fare tagli di spesa per finanziare tagli di tasse ma il governo ha deciso di non farli, è un loro diritto perché hanno preso i voti, ma io non me la sono sentita di andare avanti perché ero diventato inutile». Con queste poche parole l'ex commissario alla spending review, Roberto Perotti, lunedì sera a Piazzapulita ha liquidato la sua esperienza al fianco dell'esecutivo di Renzi.

Perotti ha anche smentito quanto a più riprese dichiarato sia dal premier che dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, circa la riduzione della spesa pubblica di 25 miliardi operata con l'ultima legge di Stabilità. «Ho pensato che mi avessero fatto la spending review sotto il naso e non me ne fossi accorto, ma poi ho guardato le tabelle Excel (del bilancio dello Stato)», ha sottolineato spiegando che quella cifra rappresenta la riduzione lorda relativa a tutti i capitoli di spesa. «Nello stesso tempo ne sono stati aumentati altri di 20 miliardi e quindi la differenza è quasi zero», ha aggiunto.

L'economista bocconiano non ha risparmiato un fendente all'inquilino di Palazzo Chigi. «In molti casi non c'è conoscenza dei capitoli di spesa, non si ha idea di quanto si spenda su certi argomenti, non si vuole fare un investimento intellettuale chinandosi sui libri e si fanno solo discorsi», ha rimarcato. La messa in mora del renzismo è tutta in una battuta. «Si possono abbassare la tasse senza fare tagli di spesa, ma poi i conti con il debito pubblico si devono fare», ha affermato Perotti.

Non è un caso che egli sia stato il quarto commissario silurato dai governi Monti, Letta e Renzi. Dopo la breve fase iniziale di Piero Giarda, i professori avevano puntato sul severissimo e superaziendalista Enrico Bondi (ora recuperato dal ministro dello Sviluppo, Calenda) per affidarsi, poi, a Carlo Cottarelli, proveniente dal Fondo monetario internazionale. E poi defenestrato da Renzi come l'«uomo che voleva spegnere i lampioni di notte». Cottarelli ha scritto un libro Il macigno come corollario della sua breve esperienza. «Per pareggiare il bilancio dovremmo tenere costante la spesa pubblica primaria (al netto dell'inflazione) per 3-4 anni», ha spiegato in una recente intervista rimarcando come «non si tratta di una cura draconiana ma semplicemente di evitare di spendere le maggiori entrate che la crescita porterà nei prossimi anni». Proprio quello che il premier si è rifiutato di fare.

È chiaro che la spesa pensionistica, per entrambi, fosse il primo capitolo da affrontare visto che pesa per il 17,2% circa sul Pil italiano, praticamente un record per i Paesi industrializzati. Cottarelli era favorevole a un recupero sulle pensioni di importo elevato da devolvere sotto forma di decontribuzione per i neoassunti, mentre Perotti è un sostenitore della proposta del presidente Inps, Tito Boeri che prevedeva il ricalcolo su base contributiva delle pensioni di importo superiore a 3mila euro (taglio lieve fino a 5mila euro e più forte al di sopra). I commissari alla spending sono stati anche vittime delle caste. «I giudici della Corte Costituzionale guadagnano il doppio di quelli americani, il triplo dei francesi. I dirigenti dei ministeri italiani guadagnano circa il 40% in più dei tedeschi», ha ricordato ieri Perotti.

A titolo di puro esempio.

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