Cronache

I tifosi delle Brigate rosse sfregiano il nome di Biagi

Insulti all'università di Modena nell'anniversario dell'omicidio. La condanna del mondo politico

I tifosi delle Brigate rosse sfregiano il nome di Biagi

Roma «Marco Biagi non pedala più. Onore a Mario Galesi. E ancora, «1000 Marco Biagi». Gergo povero da tifo calcistico violento e vernice nera per lanciare un messaggio macabro dai muri dell'Università di Modena. Nel giorno in cui ricorrono 16 anni dall'assassinio del giuslavorista bolognese c'è chi inneggia alla sua morte, ironizza sulle modalità dell'attentato (Biagi fu ucciso mentre rientrava a casa in bicicletta) e celebra uno dei due Brigatisti rossi responsabili dell'omicidio.

La scritta è comparsa non a caso vicino alla facoltà di Economia, dove si trova il dipartimento che porta il suo nome e opera Adapt, associazione fondata dallo stesso Biagi per favorire lo studio comparato delle relazioni industriali.

A scoprirla è stato Michele Tiraboschi, coordinatore di Adapt, allievo e amico di Biagi e oggi uno dei principali giuslavoristi italiani. Ha postato sui social network le foto e ha commentato: «Questa la ragione del perché ricordare Marco Biagi. Non uno stanco rituale ma una battaglia di verità. Una morte assurda e ingiusta, maturata in un clima di odio e intolleranza che purtroppo non è scomparso».

Due giorni prima, l'anniversario della strage di via Fani, le battute dei brigatisti accolti come eroi dall'estrema sinistra e interpellati dai media come testimoni neutrali. Come la Br Barbara Balzerani che ha accusato i familiari delle vittime di fare della loro condizione un «mestiere», dopo avere partecipato a un convegno in un centro sociale di Firenze.

«Un grande disgusto», ha commentato Lorenzo Biagi, figlio del giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002. «Il monopolio della parola non lo vogliamo avere noi vittime ma - ha detto il figlio di Marco Biagi nel corso delle celebrazioni a Bologna del 16 esimo anniversario dalla morte del giuslavorista - non lo dovrebbero avere di certo loro che sono solamente degli assassini e dovrebbero tacere e basta».

Biagi fu ucciso da due terroristi mentre tornava nella sua casa di Bologna. Non aveva la scorta, nonostante gli allarmi e il clima di tensione sui temi del lavoro. «Lo Stato ha abbandonato mio padre. Penso che il fatto che gli sia stata tolta la scorta senza motivo o, comunque, con una grande sottovalutazione del pericolo sia una cosa molto grave. Spero - è l'auspicio del giovane studente di Scienze politiche - che questo non capiti più ad altre persone o ad altre figure come lui».

Il rischio che torni il clima dei primi anni 2000 sui temi del lavoro è stato evocato da Maurizio Sacconi, amico di Biagi, ministro del lavoro quando il giuslavorista era consulente del governo. «Non è finita la endemica attitudine alla intolleranza e alla violenza nei confronti dei riformisti del lavoro». Colpa di chi ancora oggi dà la colpa della precarizzazione del lavoro alle leggi. Ieri sul web prevalevano le condanne delle scritte infamanti. Ma qua e la sono spuntati messaggi pro brigatisti, nei quali si da la colpa della precarietà a uno studioso che voleva aumentare le tutele.

Scorie di una stagione di veleni e false notizie, che non sono state ancora smaltite.

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