Politica

I timori leghisti: Italia punita per la Via della seta

Gli Usa non ci aiutano in Libia: prima ritorsione. Governo bloccato, Trenta assente

Giuseppe Marino

Roma Salvini lo dice esplicitamente: non è il contraccolpo sulla gestione dei migranti a preoccupare, ma il rischio per le risorse petrolifere che l'Italia rischia di perdere in Libia. Se a vincere fosse Haftar, da sempre vicino ai francesi, difficilmente avrebbe il via libera da Parigi a far ripartire il traffico di migranti. Ma sui giacimenti petroliferi a quel punto l'Italia dovrebbe subire l'influenza francese. Il ragionamento che fanno i consiglieri della Lega parte da alcuni segnali inquietanti, primo tra tutti l'inedita arrendevolezza degli americani di fronte all'avanzata del generale Haftar verso Tripoli. Ieri, addirittura, è arrivato l'ordine di evacuare non solo i diplomatici, ma anche le forze armate dispiegate da tempo sul campo.

Il sospetto del Carroccio è che sia il primo contraccolpo della firma del Memorandum con la Cina. Washington non ha certo nascosto il disappunto per la decisione italiana di firmare un accordo quadro con Pechino, trasformando l'Italia nell'unico alleato americano disposto non tanto a commerciare con la Cina, questo lo fanno tutti, quanto a legittimare nero su bianco le aspirazioni egemoniche della Via della seta. Gli americani si erano rivolti proprio alla Lega per cercare di disinnescare l'insano proposito, ottenendo limitata soddisfazione. Ora, ragionano i leghisti, c'è chi vede l'Italia come un potenziale veicolo di «contagio» cinese in aree delicate e di grande rilievo strategico. Tra queste, c'è certamente la Libia dove gli americani paiono quanto meno poco disposti a darci una mano. Il sospetto del resto non è solo nella testa dei leghisti: «Strana coincidenza questa marcia vittoriosa di Haftar -scrive su Twitter l'imprenditore ed esperto relazioni con Pechino Alberto Forchielli-, non è che ci stanno già presentando il conto per l'accordo fatto con la Cina?».

A inquietare la componente leghista del governo c'è anche la difficoltà di ragionare con gli alleati a 5 Stelle, che brillano per inazione. E nel complicato gioco di equilibri dei gialloverdi scombinato dalla dialettica da campagna elettorale, il tema libico pare scomparso dall'agenda. Ieri le opposizioni hanno dovuto premere per ottenere che Conte giovedì riferisca in Paralmento. E basta scorrere le agenzie di stampa per scoprire che negli ultimi giorni il ministro della Difesa in quota grillina, Elisabetta Trenta, non ha speso che poche parole sull'argomento. E parole più da pacifista che da ministro della Difesa: «A volte pensiamo ai conflitti degli altri come cause di nostri problemi. Pensiamo, per esempio, alla Libia come un pericolo, semplicemente perché domani magari potrebbero arrivare più immigrati. Sappiamo qual è la situazione in questo momento. Questi eventi ci fanno riflettere sulle vere responsabilità e non solo su alcune delle ricadute dei conflitti». Una sorta di richiamo alle passate colpe dell'Occidente che pare lunare in un momento in cui l'urgenza è tutelare gli interessi italiani, pensano i leghisti. Che non mancano di segnalare la sconcertante assenza dell'argomento dall'agenda del ministro.

Elisabetta Trenta, mentre i nostri 007 segnalavano il surriscaldamento del fronte libico, volava in Brasile, peraltro in ritardo, perché nel frattempo l'Italia aveva appena perso una grossa commessa a favore della tedesca Thyssenkrupp. E ora si sta preparando a un viaggio nel Corno d'Africa, ben lontano da Tripoli.

Mentre una guerra infuria alle nostre porte.

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