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I tre errori fatali e la grande fuga

I tre errori fatali e la grande fuga

Il cappio del Procuratore speciale Robert Muller si sta stringendo al collo di Donald Trump che ha scherzato col fuoco pensando di essere invulnerabile. Ed è paradossale il fatto che gli Stati Uniti abbiano raggiunto proprio in queste ore nuovi record assoluti di benessere, ricchezza e occupazione. Ma The Donald ha commesso tre errori, ognuno dei quali da solo negli Usa può essere fatale perché la ruota dei pesi e dei contrappesi funziona tuttora molto bene: ha dichiarato guerra all'establishment, ha dichiarato guerra ai suoi servizi segreti, ha dichiarato guerra ai giornalisti. Troppa roba e tutta insieme. In più, si è fatto incastrare da una politica che senza essere davvero filorussa, ha permesso ai democratici di dipingerlo come una marionetta di Putin. Che cosa è successo ieri? Che il suo ex avvocato personale Michael Cohen ha fornito per la prima volta alla magistratura le prove di un delitto federale del Presidente, quanto basta per mettere in moto il procedimento di messa in stato di accusa, o impeachment, come accadde al suo predecessore Bill Clinton, allora difeso dall'avvocato Lanny Davis che oggi difende proprio Cohen. Per conto di Cohen costui ha dato ieri il letale annuncio: «Il mio assistito è pronto a fornire informazioni al procuratore speciale Robert Mueller», il mastino del Russia-gate. Nelle stesse ore l'ex manager della campagna presidenziale, Paul Manafort, è finito in galera per aver nascosto al fisco sia i sedici milioni guadagnati in Ucraina dove sosteneva i filo-russi, sia gli imbrogli che ha fatto per farsi prestare illegalmente altri 16 milioni dalle banche. Potrebbe essere condannato a 80 anni di carcere, riducibili a quattro anni se collabora. Il sistema di difesa di Trump sembra sgretolarsi sul fronte giudiziario mentre le elezioni di mezzo termine a novembre non promettono nulla di buono con i democratici scatenati, il New York Times scatenato, la Cnn che cavalca l'onda. La mina che sta esplodendo sotto il trono di Trump è stata costruita con accurata perfidia: la legge americana mette un limite di circa 6mila dollari a chi voglia contribuire alla campagna del suo candidato. Di qui il teorema: Cohen ha pagato il silenzio di due donne, la pornostar e la coniglietta di Playboy, per un complesso di 180mila dollari e ha detto di averlo fatto su istruzione di Trump per proteggerlo da scandali che gli avrebbero potuto far perdere le elezioni. Dunque, quei soldi sono da considerare contributi elettorali illegali richiesti da Trump che poi ha rimborsato le somme esborsate a Cohen. Di conseguenza, il Presidente è ormai un'anatra zoppa, il re di un castello da cui stanno scappando in troppi, tutti pronti a stipulare un'assicurazione sulla vita rivelando quel che sanno al Sommo Inquisitore Muller.

Non è detta l'ultima parola perché Trump è un good fighter, un lottatore instancabile, ma già col fiato corto.

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