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I veri numeri della ripresa (lenta)

Per il commissario Moscovici "una vera ripresa ciclica è ormai in corso". Per il premier italiano, Matteo Renzi, un bel fattore "C" di cui non hanno potuto favorire, prima di lui, né Enrico Letta, né Mario Monti e nemmeno Silvio Berlusconi, che ha trovato la crisi sulla sua strada già dal 2008

I veri numeri della ripresa (lenta)

«Una vera ripresa ciclica è ormai in corso» ha detto ieri il francese Pierre Moscovici, Commissario Ue agli Affari economici. In pratica è il «ministro dell'Economia» dell'Europa e dunque c'è da credergli. Per il premier italiano, Matteo Renzi, un bel fattore «C» di cui non hanno potuto favorire, prima di lui, né Enrico Letta, né Mario Monti e nemmeno Silvio Berlusconi, che ha trovato la crisi sulla sua strada già dal 2008. Ma Renzi ne sta approfittando, o no? Perché - come si è visto ieri con la Borsa in picchiata del 2,7% e lo spread a 130 punti sull'ennesima paura di crac greco - il quadro resta instabile. E Moscovici, sempre ieri, ha snocciolato anche alcuni numeri che devono far riflettere a fondo il nostro super primo ministro.

Primo, il Pil: quello italiano, secondo le ultimissime stime Ue, salirà dello 0,6% quest'anno e dell'1,4% nel 2016. Ebbene, peggio di noi fanno solo Finlandia e Grecia (0,5%): per il 2015 Bruxelles prevede la Germania a +1,9%, Francia 1,1%, Gran Bretagna 2,6% e Spagna addirittura 2,8 per cento. Nel 2016 ci supera anche Atene, doppiandoci con un +2,9%. Ma quel che fa più impressione è che la crescita del prodotto interno lordo italiano risulta quasi del tutto drogata dalla Banca centrale europea: secondo i calcoli autorevoli della Banca d'Italia l'impatto delle politiche di «quantitative easing» di Mario Draghi peseranno sul Pil 2015 per lo 0,5% e dello 0,9% sul 2016. Dunque, depurata dai 60 miliardi al mese di liquidità immessa sui mercati dal «Qe», la ripresa italiana si spegne quest'anno a quota 0,1% e si riduce nel prossimo a un timido 0,5%. La traccia delle riforme di Renzi sparisce dietro alla forza della manovra di Draghi.

Secondo, il lavoro: la Commissione riconosce che, pur «gradualmente», l'occupazione torna a salire in Italia grazie alla riforma del mercato del lavoro, cioè il Jobs Act. Ma poi ci regala cifre poco incoraggianti. Il tasso di disoccupazione, che nel 2014 ha fermato le rilevazioni a quota 12,7%, secondo Bruxelles scenderà quest'anno a 12,4%, per poi rimanere stabile nel 2016. C'è allora da sperare che si tratti di previsioni prudenziali perché, tradotte in numeri, sarebbero veramente poca cosa. Infatti, a fronte dei circa 3,3 milioni di disoccupati di fine 2014, un calo dal 12,7 al 12,4% che prevede Moscovici significa la creazione di circa 80mila posti di lavoro, in due anni. Numeri deboli, soprattutto se affiancati alla mole di aspettative create sia dal Jobs Act, sia dagli sgravi contributivi introdotti con l'ultima legge di Stabilità. Numeri inevitabilmente correlati al capitolo crescita, perché senza di quella è difficile che le imprese assumano.

Terzo, conti pubblici. E qui nemmeno Moscovici ha dato molto ossigeno. Il deficit-Pil resta sotto controllo (sempre per merito della Bce che con il suo «Qe» aumenta sia il denominatore, come abbiamo visto, sia il numeratore, grazie alle risorse liberate dai minori costi per interessi), ma il debito pubblico no: per l'anno prossimo si attende il record del 133,1% nel rapporto con il Pil, a riprova che anche questo governo non ha fatto nulla per la spending review.

Per un governo fortunato sulla congiuntura, si tratta allora di tenere queste dinamiche sotto più stretto controllo perché l'unico rischio politico concreto per Renzi è proprio questo: che una troppo debole ripresa dell'economia si trasformi in uno straordinario collante per le sue opposizioni.

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