Politica

Imparare da Tsipras per non fare figure da cioccolatai

Q ualche giorno fa Alexis Tsipras era sugli altari non solo in Grecia, ma anche in Italia, dove la sinistra spinta identificava in lui (...)

(...) l'uomo del destino, colui che aveva indicato al mondo la strada giusta da percorrere per dare ai progressisti un futuro luminoso, ben diverso dall'oscuro presente a cui è stata condannata dagli eredi del comunismo. Il volto dei rappresentanti del Pd, invitati nei talk show di casa nostra a commentare il trionfo del premier greco, sprizzava gioia. Ma la festa è già finita. Non c'è stata alcuna svolta significativa e chi esultava adesso è muto e depresso. La delusione repentinamente subentrata alla speranza non invoglia a discutere.

Ormai Alexis è considerato un fuoco fatuo e non scalda più i cuori di chi l'ha votato né quelli di chi l'aveva scambiato per un profeta rosso. Basta. Tutti hanno capito che egli ha bluffato e dei suoi discorsi roboanti non rimarrà nemmeno il ricordo. Da capopopolo a bidone nel giro di settimane. Aveva promesso che si sarebbe recato in Europa a battere i pugni sul tavolo, che avrebbe imposto la sua linea ai burocrati del Quarto Reich e strappato chissà quali agevolazioni per il proprio Paese. Invece è rimpatriato con le pive nel sacco.

Ha ottenuto uno straccio di proroga di quattro mesi per fare ciò che non può: sistemare i conti. Chi lo ha preceduto al vertice del governo avrebbe forse combinato qualcosa di meglio. In ogni caso il fallimento di Tsipras era inevitabile. Fessi coloro che pensavano il contrario. Il popolo ellenico ha votato il predicatore perché credeva in un miracolo, in vari miracoli: l'uscita dall'euro, il congelamento dei debiti, la riconquista della sovranità nazionale, la resurrezione. Zero al quoto. Soltanto un rinvio del funerale. La Grecia infatti sarà costretta a prendere atto del disastro di cui è stata artefice: spesa pubblica fuori controllo, decisamente superiore al normale, un numero spropositato di dipendenti statali, un'amministrazione incosciente, un sistema pensionistico dissennato.

Per non dire dei prestiti ricevuti da Atene in cambio di rassicurazioni circa il risanamento mai avvenuto. Si parla di 140 miliardi versati dall'Ue (una quarantina sborsati da noi, e stiamo bassi) che non sono serviti a nulla, sperperati dal governo incapace di tagliare le uscite in eccesso. Se la situazione non fu medicata con l'iniezione di tanto denaro europeo, è illogico aspettarsi un aggiustamento dei bilanci ora che da Bruxelles non arriverà un centesimo. E allora quale sorte toccherà al Paese e al suo salvatore fasullo? Non ci resta che augurare ad Alexis di conservare la propria incolumità, e ai suoi mentori della sinistra italiana di scegliere un personaggio più consistente cui affidare l'avvenire progressista.

La mesta vicenda greca tuttavia fornisce un insegnamento anche a Matteo Renzi, il quale, appena insediatosi a Palazzo Chigi, predicò in favore della spending review , poi se ne dimenticò, creando i presupposti per un ulteriore aumento del nostro passivo mostruoso e ben avviato ad assumere percentuali (sul Pil) elleniche. Avanti con questo ritmo, l'Italia avrà gli stessi problemi che inchiodano la Grecia.

D'accordo che il nostro premier è sveglio, ma non abbastanza per scongiurare il pericolo, temiamo.

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