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Incalza perseguitato poi assolto. Questo è un Paese per ladri

Incalza perseguitato poi assolto. Questo è un Paese per ladri

La Stampa apre a tutta pagina: «La tangentopoli delle Grandi opere». Sottotitolo: «Favori al figlio del ministro Lupi». Il Corriere: «Grandi Opere, tangenti e favori». La Repubblica: «Appalti la rete della corruzione. Arrestato il manager Incalza, dominus delle grandi opere pubbliche». Noi stessi del Giornale: «Irruzione nel governo». Ma con occhiello premonitore: «Pm scatenati». Il Fatto: «La banda dei soliti noti». E così via. La procura di Firenze o chi per essa fornisce materiale preziosissimo per quello che solo un anno fa veniva definito il Sistema. Una retata che sbatte in galera, dopo una visita all'alba della polizia giudiziaria, Ettore Incalza, 70 anni suonati. Che mette nei guai il suo supposto sodale, l'Imprenditore Stefano Perotti, e molti altri. Incalza è sicuro di sé. Indagato altre quindici volte è sempre uscito pulito. Questa è la sedicesima. Passa in carcere una ventina di giorni. Ma la sua carriera è finita. Intorno a lui, ai suoi funzionari, e a coloro che avevano lavorato nelle grandi opere, cade la condanna mediatica: la morte civile. Le accuse sono da far tremare i polsi dall'associazione a delinquere alla corruzione. Sin da subito si spiffera che ad essere coinvolto ci sarebbe il ministro delle infrastrutture. Maurizio Lupi (Ncd). Pochi reati, non verrà mai indagato, ma un regalo di un orologio per la laurea del figlio, fatto da uno dei coinvolti nell'indagine e amico di famiglia. Paginate moraliste sui regali ammissibili. Il ministro dopo venti giorni va da Bruno Vespa e si dimette. Tutto si consuma là. L'intreccio tra accusa, verbalate dei giornali ed espiazione pubblica con rinuncia all'incarico.

La settimana scorsa gli stessi Pm e i magistrati sentenziano che il Sistema non c'era. Che Incalza, il dominus, per la sedicesima volta è stato ingiustamente accusato. E arrestato. Non è un dettaglio: 20 giorni di carcere non sono mica una cosetta.

Arriviamo al punto. Quando Matteo Renzi dice che si deve intervenire sulla giustizia e il suo ministro combatte con le associazioni dei magistrati per portarla a casa, si deve riflettere su dove in Italia esiste un Sistema. Più che nelle grandi opere esso è presenta nelle grandi accuse. Lo abbiamo già scritto un milione di volte. E non vogliamo ripetere il nostro mantra garantista, che purtroppo sempre più spesso viene confermato dai fatti. Qua vogliamo fare un discorso più banale. Chi è disponibile a queste condizioni della giustizia inquirente ad intraprendere in questo paese? Quale funzionario onesto si metterà mai in mente di risolvere un problema? Che incentivo hanno i funzionari pubblici o i politici a trovare soluzioni invece che ad inventare cavilli e procedure?

La vogliamo dire più brutalmente. Questo è un Paese per ladri. Gli unici che possono mettere in conto l'eventualità di andare in galera. Fa parte dei rischi del loro sporco mestiere. Se le cose vanno bene se la cavano, magari anche per le lungaggini di un processo. Se le cose vanno male fanno la fine di Incalza: vengono sbertucciati pubblicamente, passano un po' di tempo in carcere.

Ma a differenza di Incalza, quando terminano la loro corvè, si godono il bottino.

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