Politica

Incubo disoccupazione per il governo May In bancarotta il colosso delle costruzioni

Debito miliardario. Carillion Plc dovrà licenziare migliaia di dipendenti

Davide Zamberlan

Londra Se il buongiorno si vede dal mattino sarà un altro anno di passione per Theresa May. Dopo il criticato rimpasto di governo di inizio 2018, i malfunzionamenti del Servizio Sanitario Nazionale e le relative polemiche sul taglio ai finanziamenti pubblici, dopo le continue schermaglie con i negoziatori europei sulla Brexit, è di ieri l'apertura di un altro fronte interno: il fallimento di Carillion Plc.

Multinazionale inglese attiva nel settore delle costruzioni e dei servizi, Carillion è la seconda più grande società del genere nel Regno Unito, dove dà lavoro a circa 20mila persone. Ma i dipendenti salgono a oltre 40mila se si considera il giro d'affari in tutto il mondo. Un colosso con un debito di circa un miliardo e mezzo di sterline, che ieri ha presentato istanza di fallimento dopo che si sono concluse in un nulla di fatto le negoziazioni con i creditori per avere un ulteriore supporto finanziario. E la cui caduta solleva molti problemi, anche politici, per Downing Street. Carillion è infatti uno dei più importanti appaltatori del governo britannico, attiva nella costruzione e nella gestione di ferrovie e strade, di ospedali, scuole e prigioni. Tutti servizi la cui continuità deve essere garantita e di cui il governo si è fatto immediatamente carico, come ha assicurato David Lidington, fresco numero due della May, che ha dichiarato che tutti i lavoratori riceveranno lo stipendio. Ma la polemica politica che si è subito innescata dalle parti di Westminster ha anche un sapore un po' italiano. L'opposizione laburista e i sindacati si chiedono come sia stato possibile che il governo abbia continuato ad assegnare a Carillion decine di contratti nonostante la situazione finanziaria risultasse critica da molti mesi: il primo profit warning fu lanciato lo scorso luglio, prima, ad esempio, che la società venisse scelta come uno degli appaltatori del progetto HS2, la linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà la capitale con il nord dell'Inghilterra. Obiezioni cui Lidington ha dovuto replicare in parlamento, contestato rumorosamente dall'opposizione quando ha sostenuto che il governo ha sempre monitorato la situazione approntando dei piani straordinari per garantire la continuità dei servizi in caso di collasso dell'appaltatore.

E un'altra polemica politica che è subito esplosa è la scolastica contrapposizione tra il liberalismo conservatore e il socialismo laburista, rinvigorito sotto la leadership corbyniana: è opportuno che servizi essenziali come la sanità, i trasporti, la gestione delle scuole siano appaltati in maniera così estensiva a una società privata? Un fuoco di fila parlamentare cui Lidington si è limitato a replicare parlando di mala gestione dei dirigenti e prospettando l'avvio di un'indagine sul loro operato. Ma affrettandosi subito ad allontanare la possibilità di un salvataggio a carico dei contribuenti: saranno gli azionisti e i creditori a dover sostenere l'impatto del fallimento.

Paiono lontani i tempi della crisi finanziaria del 2008, quando il Regno Unito intervenne massicciamente nel sistema finanziario nazionalizzando alcune delle più importanti banche del paese fra cui Lloyds Bank e Royal Bank of Scotland per evitarne il tracollo e il diffondersi della crisi.

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