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Individuale, discreta, ironica La lezione inglese sul dolore

La pietà collettiva a Parigi, lo smarrimento a Berlino Il lutto è una radiografia dello spirito di una nazione

Individuale, discreta, ironica La lezione inglese sul dolore

Se le guerre non si vincono con le evacuazioni, come insegnava Winston Churchill, di sicuro il terrorismo non si vince con le candele in piazza e con le vignette solidali sui social. L'elaborazione del lutto in Occidente ormai segue istruzioni precise, come una danza macabra standardizzata: un hashtag suona l'adunata empatica, i monumenti si illuminano con i colori delle bandiere del Paese colpito, la fiaccolata commemorativa va in diretta tv e gli inni nazionali diventano nenie funebri. Un rassicurante schema che archivia gli attentati e che unisce il mondo nelle lacrime. Eppure, se il suolo sacro del dolore accomuna, la reazione divide. La reazione sì che può far vincere le guerre. E l'impressionante maturità con cui Londra ha accettato l'ultima ferita, l'ha curata e sembra averla già cicatrizzata è quanto di meglio l'Occidente abbia finora contrapposto al jihadismo.

La morte, specie se così traumatica, è una radiografia dello spirito di una nazione, uno sguardo sul Volkgeist, l'hegeliano spirito del popolo. Nulla di più americano del patriottismo post 11 settembre, con la sua genuina retorica, The rising di Bruce Springsteen, i richiami alla Costituzione. Nulla di più tedesco dello smarrimento dopo il camion lanciato da Amri sui mercatini natalizi di Berlino, che ha rivelato l'incapacità di accettare crepe in una Germania programmaticamente pacifista da 70 anni, solida ma paralizzata e inefficiente di fronte all'inquantificabile e all'imponderabile. Niente di più francese della laica pietà collettiva dopo il Bataclan, il simbolo della pace con la Tour Eiffel, i pianisti per strada: teatralità emotiva al suo grado più alto e commovente.

L'Inghilterra invece è diversa. Non è cinica, ma nessuno scriverà mai «I'm Big Ben» come «Je suis Charlie». Nelle foto dei minuti dopo l'attentato di Westminster non c'è una singola scena di panico. Pragmaticamente, tutti soccorrono, perfino il viceministro. Telefonare, muoversi, risolvere il problema per poi tornare alla vita quotidiana. Business as usual, che la morte arrivi e mi colga mentre sto piantando cavoli, direbbe Montaigne. Reagire con enfasi non è nelle corde di chi ha coniato l'understatement e ha fatto dell'individuo il ganglio irrinunciabile di una civiltà. Il lutto inglese, eroicamente personale e discreto, scolpito sui cartelloni nelle stazioni della Metro con illuminanti frasi autoironiche come «Si avvisano i gentili terroristi che siamo inglesi e comunque continueremo a bere il nostro té», è una stella polare. È di moda chiamarla resilienza, ma è solo la forza dell'individualismo. Lo Stato serve a garantire la sicurezza, la comunità si addensa quando serve, ma culturalmente l'Occidente è nelle mani dei singoli, nella loro consapevolezza di vivere in un mondo gioiosamente contraddittorio e meticcio, ma il migliore in circolazione.

Non sono luoghi comuni, è una storia culturale millenaria che ha forgiato quello che Wordsworth chiamava «il grande cuore di Londra che giace immobile». Da Locke e Hume fino ad Hitchens, gli inglesi non sono passeggeri, ma guidatori; non esibiscono i sentimenti né la morte, ma hanno inventato il Romanticismo con Byron; sono forti e conservatori, ma adattabili e perfino punk e rivoltosi. Non sono un popolo perfetto, ma il protestantesimo, il capitalismo precoce su cui si è fondata la Gloriosa Rivoluzione e l'empirismo del 700 hanno creato una nazione autocosciente, dove quel che conta sono beef and liberty, carne e libertà, e dove il dio che preghi è affar tuo, che «nessuno vuole aprire finestre nell'anima degli uomini».

Prima della Brexit nessuno aveva diviso l'Inghilterra dai tempi di Cromwell, né la Luftwaffe, né l'Ira, figuriamoci l'Isis. Sotto i bombardamenti, la National Gallery apriva comunque per non privare i cittadini delle gioie dell'arte, ci sono foto di lattai sorridenti indaffarati tra le macerie: carry on, Londra da secoli incamera immigrati e li forgia ai suoi valori. L'islamismo che rifiuta di adattarsi è un problema nuovo, ma Londra è spinoziana, non indugia sul lutto perché interferisce con le sue attività. E all'estremismo che la minaccia contrappone il profitto, la realizzazione personale e la libertà.

Così, mentre mezzo mondo avrà commentato l'attentato con un «oddio, che disastro, ancora una strage», il londinese avrà commentato: «Oddio, che disastro, ancora un ritardo sulla Jubilee Line».

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