Cronaca locale

Insulti, rabbia e desolazione La guerra fra disperati nel fortino della malavita

L'arrivo della polizia alla Trecca è salutato con grida e offese Alta tensione fra residenti regolari e abusivi E un senso di abbandono: qui lo Stato è assente

Insulti, rabbia e desolazione La guerra fra disperati nel fortino della malavita

Milano «Pezzidimmerda!». L'insulto piove dalle finestre di chissà quale piano delle torri scrostate alle dodici e un quarto, appena il primo blindato della Celere si affaccia davanti alla Trecca: e vai a sapere se quello che urla ce l'ha con i poliziotti, con le telecamere dei giornalisti, o con gli inquilini che li hanno chiamati. O forse l'insulto abbraccia in una parola sola tutti quelli che si ostinano a pensare che un assaggio di legalità possa toccare anche a questo quartiere (Trecca da tri caà, tre case: prima che gli sciagurati palazzoni sorgessero) dove da troppo tempo lo Stato è assente: e dove neanche le parole di Papa Francesco, arrivato in visita dieci mesi fa, hanno fatto breccia davvero. Il Papa se n'è andato, in via Salomone il degrado è rimasto. Qui la nettezza urbana non svuota i cassonetti, l'istituto delle case popolari non aggiusta i citofoni, il commissariato non arresta i balordi. E l'incredibile storia di Rosa, l'anziana cui una famiglia di senegalesi ha occupato la casa appena è finita in ospedale, è figlia in qualche modo dell'abbandono in cui il quartiere è stato lasciato per anni, fino a raggiungere il punto di non ritorno.

Il rapporto base tra le persone sembra essere l'insulto. C'è quello dalla finestra che insulta poliziotti e giornalisti; ma c'è anche il signore che porta giù il cane, e che appena vede un malconcio rom in bici avvicinarsi ai cassonetti lo copre di male parole, «animali, siete voi che li svuotate per cercare la roba che vi serve, e lasciate tutto in giro, fate schifo»: e dentro c'è l'esasperazione, la rabbia senza sbocchi accumulata ogni giorno che gonfia i capillari. Tutti insultano tutti: gli inquilini regolari insultano gli abusivi, gli abusivi insultano i regolari che fanno la spia, tutti insieme insultano l'Aler, il Comune, la polizia, il mondo.

Il sistema di vendere al miglior offerente l'accesso alle case sfitte, ovvero il racket, esiste da tempo immemorabile: «Anni, decenni», dicono le donne dalla faccia stanca che ieri assistono all'irruzione della Celere nella casa di nonna Rosa: «Con ottanta euro al mese ti fanno dormire in cantina, che è sempre meglio che dormire per strada». Cliente e anche vittima del racket, in fondo, si proclama anche il signore che molti indicano come «l'immobiliarista», il dominus della tratta degli alloggi. Lo chiamano lo Zingaro, e ieri è arrabbiato perché un suo nipote è stato arrestato per avere stuprato con due amici una ragazza dopo averla drogata in un locale, e i filmati sono finiti su tutti i giornali: «Ma lui è un bravo ragazzo, sono gli altri due che l'hanno violentata! E poi oggi sono le donne che vanno a violentare gli uomini». In via Salomone, lo Zingaro c'è arrivato da un campo nomadi: «Ho comprato la casa per cinquemila euro», ovviamente dal racket. «Io non sono il capo di niente, io di mestiere compro e vendo automobili e chi mi accusa è un infame». Nel palazzo, lo temono e lo odiano. Un po' detestano anche il parroco che allo Zingaro porta ogni settimana il pacco con i viveri: «Ma come, quello gira in Mercedes e il prete gli porta da mangiare. Quando abbiamo protestato ha detto: gli porto il pacco viveri perché ha un Ise pari a zero».

Mentre la Celere libera la casa di nonna Rosa, lo Zingaro (che in realtà si chiama Giulio Guarnieri) se ne sta assiso come in trono al centro del cortile, circondato dalla sua corte dei miracoli, e racconta tutto fiero ai cronisti dei suoi quindici anni in carcere per tentato omicidio. Della casa scippata a Rosa dice «io non so niente, saranno stati gli albanesi», e magari è anche vero. Bisbigliano le donnine del cortile: «Si dice che a vendere la casa ai senegalesi è stata la badante. Lo Zingaro per vendere le case almeno aspetta che siano vuote». Ma se a smerciare il diritto d'accesso alle case popolari ci si mettono anche le badanti, allora davvero per via Salomone non c'è più speranza.

«Il citofono non funziona», «il siciliano Biagio = mafia»: ma anche «I lov you». I graffiti negli androni di via Salomone raccontano una quotidianità dove, inesorabile, fa capolino la voglia di vivere una vita normale. Ma come si fa, con cento appartamenti su 470 in mano al racket, con le facciate che cadono a pezzi, con il messaggio a tutto campo che qui non valgono le leggi dello Stato e neppure quelle della convivenza civile, si può orinare in ascensore, buttare i rifiuti dalle finestre, e nello spelacchiato verde centrale i cani fanno i comodi loro, e nessuno raccoglie niente? Non nasce ieri questo dramma, e chi è cresciuto qua dentro si adatta o almeno si rassegna. Ieri nessuno applaude l'arrivo della polizia. «Quando c'erano gli albanesi in piazza Ovidio, a cacciarli via siamo stati noi», dice uno: giustizia fai da te, legge del più forte.

Ed è un inquilino regolare, uno che in un altro posto magari starebbe dalla parte dello Stato: ma non alla Trecca.

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