Cronache

"Un intervento ad alto rischio Ma così salviamo molte vite"

Il cardiochirurgo: certo che si può morire, non è come togliersi un dente. I pericoli? Le infezioni post operatorie

"Un intervento ad alto rischio Ma così salviamo molte vite"

Il ministro alla Salute Beatrice Lorenzin ha definito «inaccettabile» la morte dell'uomo appena trapiantato di cuore. Ma quell'aggettivo fa saltare sulla sedia Maurizio Viecca, direttore della Cardiologia del Sacco, uno dei più grossi ospedali di Milano.

Dottor Viecca, perché non le piace quella parola?

«Non capisco come un ministro possa dire che non si può morire di trapianto di cuore. Ribadisco: di cuore. Non stiamo mica parlando dell'estrazione di un molare né di un'operazione alle tonsille».

Lei dice che il rischio va messo in conto?

«È implicito nelle cose. Certo, in casi molto limitati. Anzi, pensiamo a quanta strada è stata fatta. Oggi i dati di sopravvivenza sono molto alti: il 90% dei pazienti sopravvive a 30 giorni dall'intervento, l'80% a un anno, il 65% a dieci anni».

E pensare che nel 1967 il primo paziente trapiantato al cuore visse solo 18 giorni.

«Ecco, da quell'operazione incredibile del chirurgo Barnard, le cose sono molto cambiate. Ora i pazienti hanno più garanzie».

In che senso?

«La mortalità è rimasta alta fino agli anni Ottanta, poi fu scoperto un farmaco anti rigetto, la ciclosporina, che migliorò nettamente la fase post operatoria».

Però il 20% dei trapiantati al cuore non ce la fa per più di un anno. Per un medico è un dato basso, a chi è meno pratico sembra una percentuale alta.

«Ripeto, stiamo parlando di un cuore levato da un corpo, trasportato, impiantato in un altro petto e fatto ripartire».

L'uomo che ha donato il cuore aveva avuto un'aritmia. Come è possibile che l'organo fosse idoneo al trapianto?

«L'aritmia non è un infarto e non danneggia né il muscolo né le coronarie. Si tratta invece di un problema elettrico. Provoca la morte perché, se dura a lungo, il cervello non riceve più sangue».

Molti malati in lista d'attesa si sono giustamente spaventati.

«Ci credo. Ma non c'è motivo. È stato fatto il solito giochino per cui prima si è creato il polverone su un caso e poi si è cercato di capire cosa fosse successo davvero».

Ci spiega come avviene un trapianto?

«Il paziente viene messo in circolazione extracorporea ma per operare si aspetta che l'organo sia già arrivato in ospedale e controllato. Il cuore «nuovo» viene riportato a temperatura, da 4 gradi a 37, e poi impiantato. Si suturano le arterie e poi si procede con la scarica elettrica. In pochi secondo il meccanismo cardiaco riparte».

Quali sono i rischi?

«Molti rischi sono nella fase post operatoria. I farmaci anti ricetto inibiscono il sistema immunitario perché non rifiuti il cuore e quindi indeboliscono molto il corpo contro virus e batteri. Per questo il paziente va isolato da possibili infezioni».

Cosa pensa dell'utilizzo di organi artificiali?

«Per ora funziona ma solo per un lasso di tempo mentre il paziente aspetta il trapianto vero ma non può più vivere con il suo cuore».

E le staminali?

«Solo teoria.

Non sono ancora applicabili in questo campo».

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