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Intesa governo-islamici Registro dei predicatori e sì alle donne imam

Il patto anti fondamentalisti al Viminale: i sermoni saranno recitati in lingua italiana

Intesa governo-islamici Registro dei predicatori e sì alle donne imam

Milano - Arriva la «imamessa». Il patto fra governo e associazioni islamiche è stato firmato ieri al Viminale e si spinge fino al punto di prefigurare ciò che finora sembrava inimmaginabile: donne-imam che predicano laicità e pluralismo nelle moschee, così come dentro le carceri o nei centri di accoglienza. Questo almeno l'obiettivo dichiarato che si pone Maryan Ismail, antropologa di origine somala che candidandosi a diventare la prima «imamessa» d'Italia ha rubato la scena ai «soliti» vertici delle grandi sigle dell'islam un tempo maggioritarie e centrali.

La svolta può aprire davvero la strada a un islam davvero italiano. Addio sogni di sharia dunque: sermoni tradotti in italiano, collaborazione totale contro il fondamentalismo, apertura dei centri islamici. E ancora: gli imam dovranno essere noti (nome e recapito pubblico), ma anche formati a dovere e in grado di promuovere valori come laicità e - appunto - «parità uomo-donna». L'accordo è stato sottoscritto dal ministro dell'Interno con nove associazioni islamiche. Arriva alla fine di un percorso avviato dall'ex ministro Angelino Alfano, a cui il successore ha messo il «turbo». «Un atto particolarmente importante» ha detto Marco Minniti, rimarcando un presupposto condiviso e un esito da molti auspicato. La premessa condivisa è «dire con grande chiarezza che tutti i firmatari si impegnano a ripudiare qualunque forma di violenza e terrorismo»; il possibile approdo è l'intesa fra Stato e comunità islamiche.

Comunità al plurale. «Si arriverà infatti, ed è fondamentale, a intese singole, con le varie comunità musulmane» spiega Ismail, che con la (piccola) associazione «Madri e bimbi somali» ha sfidato l'egemonia di grandi e spesso sopravvalutati nomi dell'islam in Italia: «Il significato del mio gesto, che nel mio ex partito a Milano qualcuno non ha ancora compreso, è stato proprio questo: riconoscere il pluralismo culturale e religioso dei musulmani italiani» dice ricordando che a giugno è uscita dal Pd accusandolo di aver scelto la parte «più oscurantista» dell'islam. Alla fine di una lunga giornata, ieri, ha avvicinato il ministro e gli ha sussurrato: «Oggi forse possiamo finalmente pensare che il sangue non è stato versato invano». Pensava al fratello ambasciatore all'Onu ucciso a Mogadiscio dalla locale cellula di Al Qaida. Somala, sufi, femminista e amante dei foulard colorati delle donne africane, Ismail presto a Milano presenterà il suo «Forum», che ha l'ambizione di diventare la casa di un islam diverso, «un islam liberale», quello che - sintetizza - non ha niente a che vedere con l'Ucoii. E, appunto, su tutt'altro fronte si trova Hamza Piccardo, che dell'Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia è stato leader, mentre oggi promuove una «Costituente islamica» che strizza l'occhio al «modello» dei 5 Stelle. E critica i «protocolli ministeriali che - dice - hanno una valenza per lo più securitaria e non affrontano in maniera organica e globale la questione dei diritti della libertà religiosa che la Costituzione stabilisce al suo articolo 19». Nove le firme in calce al patto. Mancano quelle di moschea di Palermo e Donne musulmane d'Italia e non risulta l'ok degli sciiti mentre fra le adesioni c'è l'Ucoii, che deve sottoporre il testo della sua assemblea generale. Il presidente Izzeddin Elzir, intanto, parla di «un ulteriore riconoscimento da parte delle istituzioni».

E rivendica: «Una scelta, la nostra coraggiosa, volta a squarciare ogni tipo di dubbio in tempi incerti e bui come questi».

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