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Inutile anatema sui voucher: pesano solo lo 0,3%

La Cgia di Mestre smonta la crociata Cgil. Zabeo: «Non vanno eliminati»

Inutile anatema sui voucher: pesano solo lo 0,3%

Gian Maria De Francesco

Roma I voucher non rappresentano una minaccia per il mondo del lavoro in quanto la loro incidenza nella produzione di beni e servizi è minima. La demonizzazione operata da parte della Cgil, dunque, non ha ragion d'essere. È quanto ha rilevato la Cgia di Mestre analizzando i dati 2015, ultimo anno per il quale sono disponibili le rilevazioni complessive dell'Inps. Ebbene, due ani fa sono stati venduti 115 milioni di voucher del valore unitario di 10 euro e ne sono stati riscossi 88 milioni circa. A fronte di 29 miliardi di ore lavorate nel 2015 da tutti i lavoratori dipendenti presenti in Italia, si stima che 1,3 milioni di persone circa siano state impiegate con questo mezzo di pagamento. Ipotizzando che ogni voucher corrisponda a un'ora lavorata, emerge che l'incidenza del loro utilizzo sul totale nazionale sia stato pari allo 0,31 per cento.

Il Nord Est è al di sopra della media nazionale con un'incidenza dello 0,47%, mentre il Nord Ovest è allineato al resto del Paese (0,31%). Il dato medio cala allo 0,25% al Centro e allo 0,21 nel Mezzogiorno. Come ha recentemente ricordato l'Istat, i circa 88 milioni di voucher riscossi nel 2015 corrispondono a circa 47mila lavoratori annui, pari allo 0,23% del costo del lavoro in Italia.

Altro che i «pizzini» mafiosi denunciati dalla Camusso, i voucher sono solo una goccia nel maremagnum del mondo del lavoro italiano. Anche la Cgia, tuttavia, evidenzia alcune incongruenze tra le finalità e i risultati raggiunti. Il 60,7% dei voucher riscossi nel 2015 sono ascrivibili al terziario (26,6% alberghi e ristorazione, 12,8% commercio in testa), il 12,8% nell'industria manifatturiera e solo l'1,8% in agricoltura, settore per il quale erano stati pensati al fine di eliminare il nero per i lavoratori occasionali. Proprio il basso utilizzo nel Centro-Sud, dove maggiori sono i fenomeni di irregolarità fiscale e contributiva, denota un parziale fallimento dei voucher. Calabria (0,13% del monte ore totale), Sicilia (0,12%), Lazio e in Campania (entrambe allo 0,11%) li sfruttano pochissimo. Eppure queste Regioni sono caratterizzate da un tasso di disoccupazione che in alcuni casi supera il 20% e un'incidenza del sommerso doppia rispetto al Nord.

«Eliminarli sarebbe un errore», commenta il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo, sottolineando che ne andrebbe limitato l'abuso ingiustificato, mentre ne andrebbe incoraggiato l'utilizzo laddove il nero continua a farla da padrone. «Bisognerebbe farli usare di più anche con mirate campagne ispettive», ha chiosato. il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, ricordando il caso della Cgil di Bologna che li ha impiegati per retribuire alcuni pensionati in «assenza di alternative regolatorie analogamente flessibili», mentre «quando queste c'erano si è fatto di tutto per irrigidirle o cancellarle come nel caso del lavoro a chiamata».

Sacconi, in fondo, mette a nudo le contraddizioni della Cgil: il problema non è né il voucher né il Jobs Act, ma quella buona flessibilità che il sindacato non ha imparato ad accettare perché ancora legato al vecchio concetto di posto di lavoro, quello che durava una vita.

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