Cronache

"Io, vivo per miracolo. La violenza del branco? Per loro era un gioco"

Marco fu aggredito fuori da un bar da cinque albanesi: "Animali inferociti"

"Io, vivo per miracolo. La violenza del branco? Per loro era un gioco"

«Dalla violenza del branco, io mi sono salvato per miracolo, per questo mi ritengo molto fortunato, ma quella terribile notte non la dimenticherò mai. E quando sento di un giovane morto dopo una rissa, ancora adesso rivivo quegli interminabili minuti durante i quali sono stato aggredito da una banda di cinque miei coetanei che cercavano solo un pretesto per fare a botte».

La voce di Marco, 25 anni, operaio in una grande azienda del Cuneese, in Piemonte, tradisce ancora una certa emozione, mentre racconta di quella sera in cui, fuori da una discoteca, è stato aggredito da un gruppo di ragazzi che lo hanno malmenato fino a lasciarlo tramortito nel piazzale del locale dove vittima e carnefici avevano trascorso la serata. E la situazione avrebbe potuto degenerare ulteriormente se, alcuni clienti, non avessero chiamato l'Emergenza sanitaria ed i carabinieri. «Me la sono cavata con un occhio nero, qualche livido e alcune contusioni - prosegue Marco - ma la cosa che ancora adesso mi fa più rabbia, è che non c'era alcun motivo per scatenare contro di me una simile violenza».

É da poco passata la mezzanotte quando Marco ed un suo amico si avvicinano al banco del bar per prendere da bere. Poco distanti da loro, c'è un gruppo di albanesi cercano ogni pretesto per attaccar briga. Marco ed il suo amico non rispondono alle provocazioni, fino a quando uno di loro, visibilmente alticcio, spintona il suo amico, reo - secondo lui - di essergli passato davanti nell'ordinazione al bar. Gli animi si accendono, volano insulti e spintoni, intervengono i buttafuori e tre dei giovani albanesi vengono allontanati dal locale. Ma prima hanno giusto il tempo di gridar vendetta su Marco e il suo amico. «Sono uscito dal locale dopo quasi due ore - racconta l'operaio cuneese -, ero andato via prima dei miei amici perché l'indomani dovevo alzarmi presto per andare a lavorare. Mi ero persino dimenticato del litigio accaduto davanti al bar». Marco se ne era dimenticato, il gruppetto attaccabrighe, invece, no. Anzi. Con la pazienza tipica del branco, lo attendono fuori e senza farsi vedere lo seguono fino a quando Marco si addentra nel parcheggio, deserto e poco illuminato. Qui inizia la mattanza: in cinque lo assalgono, si accaniscono contro di lui con calci e pugni, al volto, sulla schiena, all'addome.

Il pestaggio dura qualche minuto, fino a quando qualcuno chiama i soccorsi. «Non ho mai saputo chi sia stato ad avvertire l'ambulanza e le forze dell'ordine - ricorda Marco - ma è certo che io devo la mia salvezza a quella telefonata. Se non fosse arrivato nessuno, quei cinque mi avrebbero massacrato. Sembravano bestie inferocite, ricordo ancora i loro occhi iniettati di rabbia e di una violenza inaudita e immotivata».

Marco è stato medicato al Pronto soccorso, dimesso con una prognosi di 17 giorni e non ha voluto sporgere denuncia. «Ho fiducia nelle forze dell'ordine ma cosa avrei potuto raccontare? - conclude Marco -. Quei tipi non li avevo mai visti.

Io per loro sono stato un gioco, la mia fortuna è stata quella di sopravvivere alla violenza del branco».

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