Cronache

Lo Ior e le generose operazioni in Cina. Ma le finanze vaticane rischiano il crac

In «Giudizio universale» nuovi documenti inediti sulla Santa Sede

Lo Ior e le generose operazioni in Cina. Ma le finanze vaticane rischiano il crac

Fondazioni fuori controllo, gestioni sregolate dei flussi di denaro, crollo delle donazioni ed emorragie finanziarie che entro quattro anni, nel 2023, porteranno a un default della Santa Sede. È questa la disastrosa immagine delle finanze vaticane che emerge dopo la pubblicazione di nuovi documenti riservati del pontificato di Francesco, funestato nelle ultime settimane soprattutto da scandali economico-finanziari. Nell'ultimo libro di Gianluigi Nuzzi, Giudizio Universale (Chiarelettere) emergono i nuovi guai che da qualche anno sta affrontando Papa Bergoglio, assediato, come dice lui, dal demonio che lo tenta, ma anche da tanti demoni che nei sacri palazzi hanno portato a lotte di potere in nome del cosiddetto dio denaro.

Si parla come sempre di quattrini, di conti correnti di natura ambigua ma anche di milioni di euro che, nonostante il baratro ormai dietro l'angolo, vengono spediti in giro per il mondo, secondo i piani di evangelizzazione di Francesco. Ci sono, ad esempio, i milioni di euro che Propaganda Fide, la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che si occupa dei missionari sparsi per il mondo, tiene a disposizione per la Cina, al centro di uno dei dossier più delicati del pontificato di Bergoglio. Si legge nel volume di Nuzzi che Propaganda Fide ha allo Ior (la banca vaticana, ndr), diciannove conti correnti e ventuno portafogli per la gestione di titoli e valori.

Il conto con il saldo più corposo è il «Fondo Cina» che vanta ben 7 milioni e 120 mila dollari utilizzati, insieme ad altre migliaia di euro e di sterline (contenute in altri conti correnti «cinesi»), per l'aiuto alla chiesa cattolica della Cina, da sempre nel cuore del Pontefice. Nel frattempo però i conti vaticani segnano sempre più un indice negativo; ad esempio, nel 2018 lo Ior, l'Istituto per le Opere di Religione, ha praticamente dimezzato il suo contributo monetario per favorire la chiusura positiva dei bilanci della Santa Sede: da 50 milioni di euro annui si è passati a «soli» 27 milioni versati. Contemporaneamente sono diminuite anche le offerte che i fedeli da tutto il mondo inviano al Papa tramite l'Obolo di San Pietro per sostenere la missione della Chiesa: da 55 milioni di euro si è arrivati a raccogliere lo scorso anno 51 milioni.

Anche per questo motivo in soccorso della Santa Sede è dovuto intervenire il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, guidato dal cardinale Giuseppe Bertello, che vanta ingenti entrate quasi esclusivamente grazie ai biglietti staccati per l'ingresso dei turisti ai musei vaticani: nel 2017 il Governatorato ha «donato» alla Santa Sede 12,4 milioni, nel 2018 ha dovuto metter mano al portafogli per ben 30 milioni di euro. In questo contesto lo scorso maggio Francesco ha ricevuto i bilanci dell'APSA, l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, la cosiddetta Banca Centrale del Vaticano, dai quali, nonostante tutti i tentativi di salvataggio, è emerso un rosso nell'esercizio del 2018. Sul banco degli imputati il già citato crollo delle entrate e soprattutto la crescita incontrollata dei costi per i dipendenti del Vaticano. L'allarme, però, era stato lanciato già nel maggio dell'anno prima, quando nel Palazzo Apostolico si era riunito il Consiglio per l'Economia, formato da 17 tra cardinali e laici. Da un appunto di quella riunione e allegato a un dossier pubblicato da Nuzzi emerge che «il consiglio per l'Economia rinnova la sua preoccupazione per il deficit che affligge la Santa Sede e ritiene che s'informi il Santo Padre di quanto segue: il deficit è ricorrente e strutturale, ha raggiunto livelli preoccupanti, a rischio di condurre al default in mancanza di interventi urgenti». Per la prima volta nella storia delle finanze vaticane viene utilizzata la parola «default» che fa paura a più di un porporato: adesso chi lo dirà al Santo Padre? È la prima domanda che si pone qualcuno durante quel meeting dell'orrore. Viene fissata anche una «deadline» per salvare i bilanci ed evitare la catastrofe finanziaria: il 2023.

Entro quella data tutto dovrà esser risanato.

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