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In Iran trionfa l'apertura di Rohani

Niente salto nel passato, gli elettori confermano la fiducia alla linea del dialogo

In Iran trionfa l'apertura di Rohani

Il «riformista» Hassan Rohani, che si proponeva agli elettori come il garante di un processo di avvicinamento al resto del mondo, ha vinto le elezioni presidenziali iraniane. Rohani, che con questo successo comincerà un secondo mandato di quattro anni, ha conquistato secondo i dati ufficiali il 57% dei voti popolari, battendo nettamente il suo principale sfidante, l'esponente conservatore Ebrahim Raisi che godeva dell'appoggio della Guida suprema della Repubblica Islamica (il vero numero uno dell'Iran in base alla Costituzione), Ali Khamenei.

L'affluenza alle urne, pur in un contesto molto diverso da quello delle democrazie occidentali nel quale sono ammesse solo candidature allineate con i rigidi principi di una teocrazia islamica, è stata molto alta, raggiungendo il 73%. Gli iraniani sembrano aver scelto il male minore, risparmiandosi con la sconfitta di Raisi un passo indietro ai tempi cupi dei primi anni del khomeinismo; Rohani rappresenta invece nei limiti del possibile un aggancio con il mondo occidentale, ma al tempo stesso un premio dato a un difensore dell'orgoglio nazionale iraniano nell'arena mondiale.

Khamenei ha incassato la sconfitta del suo pupillo Raisi ostentando rispetto per la volontà popolare (quello stesso popolo che nel 2009 subì dal potere ogni genere di violenze perché manifestava contro il regime) e sottolineando come la forte partecipazione al voto dimostrerebbe la vicinanza degli iraniani alla Repubblica islamica.

Il vincitore ha preferito tessere le lodi degli elettori iraniani, affermando che «la vittoria è della nazione». Rohani ha marcato chiaramente la distanza politica tra sé e Raisi, dichiarando che decidendo di confermarlo alla presidenza gli iraniani hanno scelto «il dialogo con il mondo e il rifiuto dell'estremismo del passato». Rohani ha significativamente citato tra i suoi predecessori Mohammad Khatami e Akbar Hashemi Rafsanjani, quest'ultimo scomparso nello scorso gennaio. Khatami è considerato la figura più moderata espressa dal regime negli ultimi tempi. Considerato tra gli ispiratori delle manifestazioni di protesta di otto anni fa, è stato colpito da un ostracismo di regime che fa sì che i media iraniani non possano nominarlo nei notiziari e neppure pubblicare sue foto. Pur in queste circostanze, Khatami si era espresso in favore della rielezione di Rohani.

Va detto che nella rielezione del presidente uscente hanno pesato soprattutto fattori interni, che gli osservatori internazionali tendono a considerare meno interessanti. Così Raisi aveva puntato su proposte populiste in favore dei disoccupati, mentre Rohani ha certamente tratto vantaggio da una riforma sanitaria da lui voluta che ha reso più accessibili cure e acquisto di farmaci ai ceti popolari. Il candidato riformista si è addirittura presentato al seggio elettorale in tenuta da chirurgo.

Rimane da ricordare che sarebbe un errore pensare che Hassan Rohani, come chiunque dei suoi predecessori alla presidenza della Repubblica islamica, sia il vero leader di Teheran: semmai ha funzioni esecutive. Questo perché le redini del potere nella teocrazia iraniana sono saldamente nelle mani dell'erede del suo fondatore, l'ayatollah Khamenei. Costui ricopre il ruolo di Guida Suprema (in lingua farsi Faghih), titolare di un ruolo politico-religioso del tutto particolare e assoluto, quello di rappresentante della volontà di Allah.

E in quanto tale, «gli sono affidati la tutela degli affari e l'orientamento del popolo».

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