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Isis, economia e Brexit Così le urne cambiano l'agenda della premier

La May aveva scommesso su queste elezioni La sua forza dipenderà dal nuovo parlamento

Isis, economia e Brexit Così le urne cambiano l'agenda della premier

Per quanto - secondo i primi exit poll - sembra sia riuscita a battere un avversario, Jeremy Corbyn, su cui un mese fa nessuno avrebbe scommesso un soldo ma che poi si è rivelato più temibile del previsto, non si può dire che Theresa May esca rafforzata dalle elezioni anticipate che ha indetto a sorpresa sette settimane fa.

Contando sui sondaggi, sperava di portare la sua maggioranza dagli attuali quindici deputati a un centinaio e invece, stando ai primi risultati dei collegi, ha dovuto accontentarsi di assai meno. È entrata in campagna elettorale con la reputazione di donna forte, decisa e con le idee chiare, e rientra a Downing Street assai ridimensionata da una campagna elettorale sciatta, ripetitiva e costellata di gaffes, che ne hanno messo in luce le molte debolezze. Non ha voluto (o osato) confrontarsi con i suoi avversari in televisione, dove, anche quando era la sola intervistata, appariva legnosa e noiosa. Ha perfino favorito il successo di una canzone, intitolata «bugiarda, bugiarda», che gli avversari le hanno subito dedicato. Soprattutto, sperava di potere condurre tutta la campagna elettorale sul tema della Brexit, insistendo sulla necessità che essa venga negoziata da un governo forte e omogeneo, e invece dopo le stragi di Manchester e della London Bridge si è ritrovata a dibattere soprattutto di sicurezza: un terreno che, come ex ministro degli Interni, avrebbe dovuto esserle favorevole, se non avesse presieduto, per ragioni di bilancio impostele da Cameron, a una riduzione del corpo di polizia di ventimila uomini e degli agenti armati da 6.500 a poco più di 5.000 uomini.

Comunque, sia pure tra fischi e critiche, ce l'ha fatta a ottenere l'investitura personale cui ambiva e salvo una imprevedibile rivolta dei parlamentari tories in caso di fallimento delle trattative sulla Brexit o un nuovo scioglimento anticipato del Parlamento - per i prossimi cinque anni sarà lei a menare la danza.

Si può anticipare che il suo governo avrà tre priorità. Primo, cercare di ottenere da Bruxelles la Brexit meno costosa possibile per l'economia britannica, che comincia ad accusare un rallentamento, ma senza sacrificare i punti che hanno indotto gli elettori a votarla. Se la Brexit sarà hard o soft, dipenderà anche dall'orientamento del suo nuovo gruppo parlamentare, dove non mancano i fautori del remain.

Seconda priorità, la sicurezza. Subito dopo l'attentato alla London Bridge, Theresa May ha pronunciato parole molto forti, arrivando a dire di essere pronta a stracciare leggi sulle libertà individuali che oggi favoriscono gli jihadisti. È possibile che, specie se le trattative con l'Europa non andassero troppo bene, la lotta al terrorismo diventi agli inizi il suo cavallo di battaglia, spalleggiata da una opinione pubblica diventata via via più intollerante, ma con il problema di non alienarsi una comunità islamica molto numerosa (Londra ha eletto un sindaco musulmano). Bisogna aspettarsi, comunque, un ulteriore giro di vite, e si spera una più stretta collaborazione con i servizi europei, anche se il Paese uscirà dalla Ue.

Terzo punto, l'economia. La May è sotto molti rispetti l'opposto della Thatcher: non ha simpatia per il neoliberismo, punta su un maggiore ruolo per lo Stato e crede nella necessità di una più equa distribuzione della ricchezza, anche andando contro gli interessi del grosso dei suoi elettori. Ha promesso un salario minimo di 9 sterline (una più di Corbyn!) e pensa di riportare la pressione fiscale al 35% per avere più danaro a disposizione per i progetti sociali.

Qualcuno l'ha già chiamata «populista» o addirittura «Theresa la rossa», ma su questo punto il partito non mancherà di metterle le redini.

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