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Italiani "costretti" a lavorare in pensione per poco tempo

L'analisi Uil: siamo nettamente sotto la media Ue. Solo 16 anni e 4 mesi gli uomini, 21 anni e 7 mesi le donne

Italiani "costretti" a lavorare in pensione per poco tempo

In pensione sì, ma per poco tempo. È quanto emerge da un'analisi statistica pubblicata ieri dalla Uil alla vigilia dell'ennesimo incontro tra governo e sindacati sulle possibilità di rallentare l'attuazione della legge Fornero. Secondo lo studio, che si basa su dati Missoc ed Eurostat, in Italia i pensionati si ritirano dal lavoro più tardi rispetto agli altri Paesi europei e, dunque, nonostante un'aspettativa di vita non bassa, finiscono con il godere dell'assegno previdenziale per un periodo molto limitato: 16 anni e 4 mesi gli uomini e 21 anni e 7 mesi le donne. Il dato è nettamente al di sotto della media Ue che per gli uomini è di 18 anni e 9 mesi e, per le donne, di 23 anni e 2 mesi.

In Francia (Paese che tuttavia dovrà intervenire in tema di previdenza) l'età per il pensionamento degli uomini è a 60 anni e la loro aspettativa di vita è di 84 anni e 5 mesi: quindi, non solo l'aspettativa di vita è maggiore, ma l'età di accesso è di 6 anni e 7 mesi inferiore a quella italiana, pertanto la permanenza in pensione, è di oltre 8 anni maggiore. Nel Regno Unito, le donne, pur avendo un'aspettativa di vita pari a 85 anni e 10 mesi (un anno e 4 mesi meno delle italiane), godono in media dell'assegno per 4 anni e 3 mesi più delle italiane visto che l'età di pensionamento è 60 anni.

Una lettura dei dati Istat effettuata dall'Adnkronos mostra, però, che rispetto al periodo 1960-62 vi è stato un aumento del 363% dei novantenni ed è più che raddoppiato il numero degli ottantenni. Queste tendenze demografiche consentono di comprendere la difficile sostenibilità di lungo termine del sistema previdenziale. Le rimostranze del sindacato che si basano su numeri concreti non tengono, però, conto del fatto che la platea degli attuali pensionati sia composta in maggioranza da coloro che si sono ritirati dal lavoro con il gravoso (per i conti pubblici) sistema retributivo e che oggi sono remunerati per mezzo dei contributi versati dagli attuali lavoratori.

Il sindacato, però, non intende indietreggiare rispetto alle proprie richieste. «Non c'è nessun motivo per aumentare in via generalizzata l'età di accesso alla pensione così come dovrebbe accadere sulla base dell'attuale normativa», ha dichiarato il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti. Una chiara allusione all'adeguamento dell'età pensionabile che dovrebbe salire da 66 anni e 7 mesi (quota che dal 2018 varrà anche per le donne) a 67 anni nel 2019. «Le aperture del governo sono insufficienti», ha dichiarato il segretario confederale Cgil, Roberto Ghiselli, non escludendo la possibilità di una mobilitazione generale.

Il dossier che oggi il governo intende proporre all'attenzione del sindacato, infatti, contiene una proroga dell'Ape social al 2019 e un allargamento delle categorie previste con l'aggiunta di lavoratori agricoli, marittimi pescatori e siderurgici. La platea di potenziali beneficiari dovrebbe pertanto allargarsi oltre le 20mila unità restando sostenibile a livello di esborso per i conti pubblici. La proposta include anche una proposta sulle pensioni future dei più giovani e l'equiparazione tra pubblico e privato della fiscalità per la previdenza integrativa.

Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, fermamente contrario allo stop all'adeguamento ha ricordato che «se aumentano i pensionati e diminuiscono i giovani lavoratori il sistema non regge più».

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