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Italicum, Renzi mette la retro e il patto del Nazareno vacilla

Il premier vuole cambiare in corsa la legge elettorale (premio non alla coalizione ma alla lista) e apre la campagna acquisti dei delusi di Sel e Scelta civica

Italicum, Renzi mette la retro e il patto del Nazareno vacilla

Matteo gioca a tutto campo e vuole vincere facile. Allarga sulle fasce, converge al centro, adotta il possesso palla indefinito come strategia per arrivare al 2018 e oltre. Anni di «compiti importanti, impegni costituzionali» e persino, «se maturerà», l'elezione di un nuovo presidente della Repubblica (che non si potrà scegliere influenzati da Twitter, dice - forse a se medesimo). Dunque il Parlamento non può «essere messo in difficoltà da un blocco che continua a dire no a tutto». Blocco che conta sponde nel Pd, «ma non possiamo diventare un club di intellettuali anarchici».

Oltre che il sultano dell'attuale primo partito italiano, Renzi si considera un Guardiola prestato alla politica. I suoi ci credono, al punto che nella Direzione che discute sul nuovo partito, il partito della Nazione, si sente disinvoltamente parlare di «marcatura a zona e non più a uomo», di fare politica «come la Roma sta facendo». È chiaro che in uno schema nel quale il Pd diventa architrave immutabile del potere, come e più della Dc d'antàn, l'antagonista o sta sul carro o finisce sotto. Così Renzi manifesta la voglia, anche se ancora larvale, di disattendere il «patto del Nazareno» con Berlusconi. Con due «cambi» in corsa: modificare l'Italicum con il premio di maggioranza assegnato alla prima lista e non più alla coalizione e cominciare una campagna acquisti in Parlamento per avere numeri sempre più larghi. È il ritorno al partito «a vocazione maggioritaria», che possa contenere dai transfughi di Sel, Migliore e C., fino ai montiani in rotta, come Andrea Romano. Prospettiva che non preoccupa più di tanto Forza Italia. «Male il metodo», fanno sapere fonti del partito del Cavaliere, ma gli azzurri non chiudono al premier.

Nel contempo, il leader striglia poco i suoi, esclude espulsioni, cerca di blindare l'Italicum («è una grandiosa conquista, anche se si userà solo nel 2018»). Più volte ribadisce di voler perseguire «lo sforzo di volerci più bene» (finché il cuore lo tradirà: «Guarda come so' diventato ecumenico!», sospira). Arriva persino a cercare l'embrassons-nous con una minoranza sempre più goliardica e invita l'oppositore Cuperlo alla Leopolda di sabato: «Non è lesa maestà se uno va a Roma (Cuperlo sarà alla manifestazione della Cgil, ndr)... Passa, Gianni, prima o dopo. Non pensate che chi va alla Leopolda sia contro il Pd». Cuperlo aveva infatti calcato molto i toni, fino all'accorata retorica: «Matteo, io te lo chiedo qui: che cos'è la Leopolda? Stai facendo un partito parallelo? Ma così non andremo verso un partito dell'unità ma forse verso ciò che già siamo: una confederazione...». Nella replica Renzi sarà, più che bonario, ammiccante: «La drammatizzazione della Leopolda è un autogol. Sono il primo a essere contro una corrente dei renziani. Veniteci, pure se avete altro da fare...».

Il resto è tutto un appello a «fare un passo avanti e rispettarci», a evitare di «considerarci reciprocamente usurpatori contro legittimi detentori». Con spazi all'autocritica: «Non voglio la confederazione e non credo alla circolazione extracorporea... Contro il partito non ho vinto, ho vinto le primarie quando un gruppo importante di classe dirigente ha scelto di scommettere su di me». Non siamo «un gruppo di barbari». La questione degli iscritti poco lo preoccupa, quella dei soldi «è un tema vero e serio». Ma è finito l'articolo 18 del voto, dice, la gente non vota «a tempo indeterminato, fa zapping. Ogni giorno dobbiamo fare la fatica del consenso». Con un piccolo aiutino nascosto nell'Italicum, poi, il giochino verrebbe più facile.

Sarebbe perfetto, sarebbe per sempre.

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