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La jihad arriva in Veneto: 5 indagati per terrorismo «Arruolavano combattenti»

Inchiesta della Procura di Venezia, i predicatori cercavano volontari da mandare in Siria. Zaia: ora basta, aiutiamo i profughi a casa loro

Venezia Cosa c'è da temere da un imbianchino che ti dipinge le pareti di casa come si deve a un prezzo decente dopo aver scambiato qualche battuta sconsolata sull'ultima incerta prestazione dell'Inter? Niente, non c'è niente da temere da uno dei tanti lavoratori autonomi che, specie nel settore dell'edilizia, si sono lasciati alle spalle i disastri dell'ex Jugoslavia per ricominciare una vita in Veneto. Parlano perfino il dialetto e si sono integrati bene nei paesini mica tanto facili per i «foresti». No, questi lavorano duro, come piace ai veneti, gente di poche parole e ore e ore su e giù per le impalcature, senza lamentarsi. Tifano perfino per le squadre di calcio italiane, come Ismar Mesinovic, patito dell'Inter, sposato con una cubana e con un figlio piccolo.

Tutto bene, almeno dal 2009, quando si era stabilito a Longarone (Belluno), fino alla fine del 2013 quando, dopo aver litigato ed essersi separato in malo modo dalla moglie, l'imbianchino bosniaco, originario di Doboj, è stato folgorato, è proprio il caso di dire, sulla via di Damasco. Anzi, di Aleppo, comunque sempre in Siria. Sì, perché nella mente di quello che sembrava un musulmano moderato si erano conficcati i sermoni molto meno moderati di imam particolarmente convincenti che avevano l'obiettivo di arruolare agguerriti militanti per rinforzare il composito esercito itinerante del califfato dell'Isis. E con l'obiettivo di sterminare gli infedeli, o anche i poco fedeli come gli sciiti derubricati allo stato di eretici, l'imbianchino bellunese è partito per la Siria insieme al figlio di due anni e, nel febbraio scorso, ha coronato il sogno di morire da martire insieme all'ignaro e sfortunato bambino.

È da qui che sono partite le indagini dei carabinieri del Ros di Padova, nel massimo riserbo, per cercare di ricostruire una rete di predicatori, fiancheggiatori e reclutatori di terroristi che si sarebbe ramificata in Veneto, in particolare nelle province di Padova, Belluno e Treviso. Sarebbero cinque gli indagati, sospettati di fare da reclutatori. E sui 50 estremisti partiti dall'Italia per raggiungere i combattenti dell'Isis in Siria, una trentina sarebbero residenti nel Nordest, in gran parte di nazionalità bosniaca.

La Procura distrettuale di Venezia, competente per fatti di terrorismo, ipotizza il reato di associazione eversiva, prevista dall'articolo 270 bis del codice penale. I cinque indagati, in particolare, avrebbero girato le varie moschee della regione allo scopo di allevare e reclutare potenziali jihadisti da spedire al fronte di questa sorta di guerra santa, dichiarata dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi, che ha portato ai crimini più efferati nel nord dell'Irak, dove sono stati perseguitati e massacrati migliaia di cristiani e yazidi, e alla decapitazione del giornalista americano James Foley.

In genere i protagonisti di queste conversioni radicali sono persone di origine araba, ma nel Nordest sono parecchi i bosniaci convinti ad andare a ingrossare l'esercito del califfo. Logica la preoccupazione di Luca Zaia, governatore del Veneto, che attacca il governo Renzi per il modo in cui viene gestito il fenomeno dei profughi arrivati a migliaia sulle coste italiane e poi spediti nel resto d'Italia, Veneto compreso. «Questa regione ha già dato - tuona - non si possono più accettare altri profughi. Quanto all'islam, io sono per l'assoluta libertà di religione, ma l'estremismo mi sembra abbia assunto dimensioni preoccupanti. Cominciamo con l'imporre ai vari imam che ci sono in Veneto l'obbligo di parlare italiano. Sarebbe già qualcosa. E i profughi aiutiamoli a casa loro».

Antonio De Poli, senatore e vicesegretario vicario dell'Udc, è sempre stato molto critico nei confronti di Zaia, ma stavolta condivide alcune delle sue preoccupazioni. «Un fatto allarmante che impone immediate verifiche - dice a proposito delle indagini in corso -.

I cinque indagati per terrorismo in Veneto dimostrano che le preoccupazioni erano legittime».

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