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"Kartoffeln" contro "immigrati": la faida della nazionale tedesca

Lo «Spiegel» ricostruisce la spaccatura nello spogliatoio della Germania: una guerra tra nativi e naturalizzati

"Kartoffeln" contro "immigrati": la faida della nazionale tedesca

Berlino «Nella Mannschaft c'è o almeno c'era un po' di tutto: un polacco (Podolski), un marocchino (Bellarabi), un ghanese (Jérôme Boateng), un sierraleonese (Rüdiger) e due turchi (Gündogan e Özil). Se sai giocare bene a pallone puoi diventare un campione, il che ha facilitato l'identificazione anche degli immigrati con la nazionale». L'imprenditore berlinese Martin T. non crede alle polemiche delle ultime settimane sul razzismo dentro alla squadra di Joachim Löw. Eppure di immigrazione se ne intende: madre coreana, padre iraniano e passaporto tedesco, Martin ben rappresenta la nuova generazione di tedeschi mit Migrationshintergrund, provenienti «da contesti migratori» come si dice con espressione moderna e politicamente corretta.

Fra il trionfo brasiliano e la clamorosa «corea» del mondiale russo, la sensazione che qualcosa sia andato storto però resta. Si tratta di errori di natura strettamente sportiva o di problemi di integrazione? Se lo chiedete a Özil la risposta è certamente la seconda. A fine luglio il centrocampista dell'Arsenal ha sbattuto la porta della Mannschaft puntando il dito contro il razzismo antiturco percepite sugli spalti e dietro le quinte. Soprattutto in ambito Dfb (la Federazione calcistica tedesca) il cui numero uno Reinhard Grindel e il team manager Oliver Bierhoff non lo avrebbero difeso, come Özil riteneva di meritare. Poco importa che Özil e Gündogan si fossero fatti fotografare prima del mondiale assieme a Erdogan, noto anche per aver fatto arrestare giornalisti (anche) tedeschi e per aver chiesto il carcere per un comico apprezzato in Germania. Se Gündogan ha avuto il tatto di spiegare che il suo gesto era stato del tutto apolitico, Özil ha semplicemente detto addio alla Mannschaft. Un gesto che gli ha guadagnato le critiche di politici come il Liberale Christian Lindner secondo cui il razzismo anti-turco è sbagliato «ma la Germania ha valori diversi, e la nostra tolleranza non può essere invocata se vogliamo minarla dall'interno» e di colleghi. Di recente il centrocampista Toni Kroos ha ricordato al giocatore dimissionario che «dentro alla squadra non c'è razzismo» e che le critiche del pubblico bisogna saperle accettare. Quando il caso Özil sembrava destinato a sopirsi, la Bild e lo Spiegel ci hanno messo lo zampino. Complici gli imminenti incontri Germania-Francia (6 settembre) e Germania-Perù (9 settembre), le due testate hanno scritto che Löw dovrà operare un ricambio e che le teste più prossime a rotolare sarebbero, fra le altre, quelle di Boateng e del tedesco-tunisino Khedira. Peggio ancora, rispolverando lo stereotipo dei Kartoffeln vs Kanaken, ovvero delle patate contro i terroni stranieri, Bild e Spiegel hanno toccato proprio il tema della mancanza di spirito di squadra all'interno dell'altrimenti decantata Mannschaft. «Quando eravamo bambini si chiamava la Deutsche Fußballnationalmannschaft, ovvero la squadra di calcio della Germania; negli ultimi anni è diventata la Mannschaft e basta, ossia la squadra per eccellenza: non so in quanti apprezzino questa parola», segnalano al Giornale Simon K. e Steven B., tedesco iraniano il primo, tedesco statunitense il secondo. «È un'espressione un po' arrogante, adottata dopo la vittoria al Mondiale in Brasile nel 2014». Tant'è.

Secondo la stampa tedesca la spaccatura sarebbe legata ai differenti stili di vita, con i giocatori cool e amanti del rap come Boateng e Rüdiger che prendono in giro i più conservatori Mats Hummels e Thomas Müller. L'unica concessione sulla mancanza di coesione viene da Bierhoff: «Faremo il possibile per tornare a essere una vera squadra», ha detto alla Bild.

Dopo settimane di rigoroso silenzio, anche sul caso Özil, la parola passa a Löw, atteso domani in conferenza stampa all'Allianz Arena di Monaco di Baviera.

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