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Il killer ha il camice bianco: 38 morti sospette in ospedale

In manette l'infermiera di Lugo di Romagna indagata dopo il decesso di un'anziana ricoverata. Avrebbe agito per liberarsi di pazienti «impegnativi»

Sei mesi di indagini, accertamenti clinici, perizie. E adesso per lei sono scattate le manette.

A finire in carcere, con la pesante accusa di omicidio volontario aggravato, un'infermiera quarantaduenne, Daniela Poggiali, che lavorava all'ospedale Umberto I di Lugo di Romagna, nel Ravennate.

Secondo gli investigatori, coordinati dal pm Angela Scorza, la morte di un'anziana paziente avvenuta lo scorso aprile, non sarebbe avvenuta per cause naturali. Anzi il contrario: si sarebbe trattato di omicidio. Un delitto commesso dall'infermiera non per motivi «umanitari». Insomma non si sarebbe trattato di eutanasia, di «dolce morte» per malati terminali o senza più speranze. Ma solo di istinto omicida. E c'è di più: sulla donna, sul suo «operato» e sulla sua mente bipolare gravano ombre ancora più tremende. Gli investigatori sospettano che i delitti possano essere molti di più. Sarebbero, infatti, trentotto le cartelle cliniche di pazienti deceduti in corsia dall'inizio dell'anno ora al vaglio degli investigatori. Già nelle settimane scorse proprio i risultati delle perizie degli esperti nominati dalla procura, e depositate nei giorni scorsi, avevano suggerito un approfondimento per almeno altri 10 decessi per così dire «prematuri».

Ad insospettire e quindi a far partire l'indagine era stata la strana, improvvisa fine, lo scorso 8 aprile, di una donna di 78 anni, Rosa Calderoni. Una paziente ricoverata, a quanto si sa, per una patologia non così grave da far temere per la vita. Invece all'improvviso, ma soprattutto inaspettatamente, la donna venne stroncata da un infarto. Da qui, l'8 aprile scorso, l'inizio dell'indagine, doppia: una interna dell'ospedale e una diretta dalla magistratura.

A fine maggio erano stati indagati anche due medici della struttura romagnola e di un direttore amministrativo. I tre erano stati quindi convocati in Procura per essere ascoltati in relazione alle ipotesi di omissione di referto (per i primi due) e per omissione di atti di ufficio, il terzo. Ora con l'arresto di Daniela Poggiali, l'inchiesta punta a far luce sugli altri decessi sospetti avvenuti nell'ospedale della bassa Romagna. L'infermiera, arrestata ieri dai carabinieri grazie all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Procura, secondo l'accusa - come detto-avrebbe agito da sola, spinta soltanto dalla sua follia. Quasi a volersi vendicare- spiegano gli investigatori- di pazienti particolarmente impegnativi da assistere o con parenti pressanti che la «disturbavano».

Una vicenda questa che ricorda, purtroppo, storie analoghe che, non soltanto in Italia, hanno visto medici e infermieri condannati per aver ucciso in corsia. È di quest'anno la condanna all'ergastolo per Angelo Stazzi, l'infermiere accusato di aver ucciso 5 anziani in una casa di riposo vicino a Roma, nel 2009. Altro caso simile, quello dell'infermiera Sonya Caleffi, condannata a 20 anni per le iniezioni letali in corsia all'ospedale Manzoni di Lecco. La Caleffi venne arrestata nel 2004 con l'accusa di aver inoculato aria nelle vene di cinque anziani pazienti, causandone la morte.

Lei lo faceva per «sentirsi importante», «perché- ammise davanti ai giudici- volevo far vedere la mia preparazione nelle emergenze».

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