Cronache

Il killer jihadista di Berlino da cento giorni in frigorifero

Il corpo di Amri è nella camera mortuaria a Milano La famiglia non lo reclama. E la Tunisia non lo vuole

Il killer jihadista di Berlino da cento giorni in frigorifero

Cento giorni nell'obitorio di Milano. Si fa surreale il caso del killer di Berlino. Anis Amri nella notte fra il 22 e il 23 dicembre è morto davanti alla stazione di Sesto San Giovanni nel corso di uno scontro a fuoco con la polizia, che lo aveva fermato per un controllo. A cento giorni esatti da quella notte che ha posto fine alla sua misteriosa fuga, il corpo del terrorista tunisino si trova ancora depositato nella camera mortuaria milanese. Lo denuncia l'assessore regionale Viviana Beccalossi, che ha seguito il caso anche come delegata (dal governatore Roberto Maroni) alle azioni di contrasto del radicalismo islamico.

Il macabro stallo della vicenda è legato allo strano intreccio diplomatico che si è creato nel triangolo fra l'Italia, le autorità tunisine e la Germania, Paese da cui fuggiva Amri, il 24enne su cui pendeva un mandato di cattura internazionale per la folle strage del 19 dicembre ai mercatini di Natale (12 morti e 56 feriti), poi rivendicata anche dall'Isis.

È difficile prevedere quale sarà il destino della salma di Amri, anche per il comprensibile timore che il luogo della sua sepoltura possa diventare meta di deliranti pellegrinaggi o di altre attenzioni particolari. Una delle poche certezze è che il costo del deposito all'obitorio (11 euro al giorno) sembrava dovrebbe gravare, per legge, sul Comune di Sesto San Giovanni. Dalla Tunisia, infatti, non era arrivato alcun concreto interessamento per le spoglie del terrorista. E gli stessi familiari hanno avuto un atteggiamento ondivago. Prima hanno disconosciuto il giovane, poi in un'intervista rilasciata a Rainews la madre ha confermato di averlo rinnegato ma anche di volerlo riportare in patria, dicendosi convinta che fosse stato indottrinato e manifestando cordoglio per le vittime. Ancora il 4 gennaio diversi giornali riportavano la notizia che «nessuno ha ancora reclamato la salma di Amri».

Una versione diversa l'ha fornita il fratello di Anis, Walid: in un'intervista al quotidiano Bild, oltre a smentire il fatto che la famiglia avesse ricevuto soldi dall'Isis - la «pensione» prevista per i «kamikaze» - il fratello del killer di Berlino ha detto di aver chiesto per sedici volte, attraverso il ministero degli Esteri tunisino, che il corpo venisse riconsegnato alla famiglia. Lo ha riportato La Repubblica a metà febbraio: «Ad oggi - ha detto in quella occasione Walid - non abbiamo avuto nessuna risposta dalle autorità italiane». Allora aveva parlato il ministro degli Esteri Angelino Alfano: «Faremo tutte le verifiche del caso - aveva detto - L'Italia è uno Stato di diritto e in circostanze come quelle che si sono verificate vanno seguite una serie di procedure nel rispetto di tutti i poteri e gli ordini dello Stato».

Il sindaco di Sesto Monica Chittò, da parte sua, si è mostrata affatto convinta che toccasse al Comune pagare il conto di tutte le spese necessarie. E l'assessore Beccalossi aveva scritto alla Farnesina e al ministro dell'Interno, chiedendo che queste spese non fossero a carico di nessuna autorità italiana. «Qualche settimana fa - dice ora l'assessore - è stata ufficializzata la notizia che l'autopsia e gli esami tossicologici sono già stati effettuati. Non so se gli inquirenti abbiano necessità di ulteriori approfondimenti, ma rinnovo l'appello ai ministri affinché si attivino immediatamente per risolvere la questione. L'Italia non deve ospitare questa persona.

Neppure da morto».

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