Politica

Il killer in tv dopo il delitto: «Qui la polizia non fa nulla»

A sparare a marito e moglie, un pakistano titolare di un locale vicino Che, fingendosi spaventato, si è fatto intervistare: «La zona fa schifo»

Dicono che l'assassino torni sempre sul luogo del delitto. Beh, stavolta, nemmeno se n'era andato. Tranquillo, sfrontato, polemico quel tanto che è ammissibile in simili casi, ma soprattutto - detto col senno del poi - plateale. Cappellino a barchetta stile inserviente mensa, Adnan Muhammad, 32 anni, pakistano, tutto poteva apparire tranne che uno spietato killer. Recitava, mantenendo il suo personaggio reale. Quello di un qualunque commerciante, quasi uno scampato: forse «sarebbe potuto toccare a lui». Aveva filmato con il telefonino le Volanti che arrivavano a sirene spiegate sul luogo del massacro, via Valsaviore, in quel di Brescia; poi si era messo a disposizione di giornalisti e tv. Era lì martedì scorso, mentre nel quartiere Mandalossa due uomini arrivati in scooter, col caschi integrali sul volto, sparavano quattro fucilate a «Frank il pizzaiolo», al secolo Francesco Seramondi, 65 anni, e a sua moglie Giovanna Ferrari, di 63. Pressoché freddati all'istante, due colpi ciascuno, precisi, in un raid durato pochi istanti.

Si ipotizzava un omicidio su commissione, una vendetta di spacciatori della zona, in realtà agli uomini della squadra Mobile per imboccare la pista giusta era bastata qualche ora. A dispetto delle voci, delle solite, immancabili, strumentalizzazioni politiche e di piazza. Con tanto di marce «pro-legalità».

«Non cerchiamo certamente gli assassini qui in città», disse pubblicamente, l'indomani, uno degli investigatori. Barava. Esattamente come aveva barato Adnan Muhammad, anche lui pizzaiolo. «Non conosco Frank. So che ha il negozio qui ma non lo conosco». Così aveva dichiarato l'omicidio ai microfoni di televisioni locali e nazionali. Accreditandosi pure cittadino modello. Extracomunitario, ma di quelli bravi, onesti, integratissimi. Integerrimo lui: «È quattro anni che lavoro in Mandolossa – spiegava ai taccuini affamati – e questa zona fa schifo, qua spacciano la droga. Tante volte ho telefonato a polizia e carabinieri, mi hanno sempre risposto male. Ma io le tasse in Italia le ho sempre pagate».

L'altra sera, dopo sette ore di interrogatori serrati, ha dovuto ammettere una verità ben diversa. È lui l'esecutore materiale del duplice delitto, l'uomo misterioso che imbracciava la doppietta a canne mozze. Il complice, anche lui finito in manette, Singh Sarbjit, indiano di 33 anni, fa l'indiano. Non parla italiano, né inglese, c'è voluto un traduttore per fargli capire che era incastrato. Aveva lasciato un'impronta nel negozio delle vittime. Il movente? Questioni di rivalità, denaro. Le vittime e il pachistano avevano due esercizi commerciali simili a pochi metri di distanza uno dall'altro ma, mentre la pizzeria dei Serramondi era conosciuta da tutti e tutti la frequentavano, l'altra (Dolce & salato) non aveva clienti. Tra l'altro era stato proprio «Frank» a vendergliela qualche anno fa, per 200mila euro. E a quanto pare quella somma non era stata ancora interamente pagata.

A incastrare i due le immagini delle videocamere, i dati telefonici, i controlli patrimoniali della Guardia di finanza ma, soprattutto - spiegano gli inquirenti -, «l'individuazione di impronte papillose all'interno del negozio che ci ha permesso di identificare uno dei due responsabili». I due erano arrivati davanti alla pizzeria di primo mattino a bordo del loro motorino, si sono appostati un paio d'ore in un magazzino abbandonato, quindi l'agguato. Subito dopo, lungo la via di fuga, si erano «ripuliti» disfandosi di guanti, proiettili e del fucile trovato, però dalla polizia, in un canale. Poi, come nulla fosse, erano tornati sul luogo del delitto per aprire il loro locale. Finalmente senza concorrenza.

Fatta la pentola, non il coperchio: il cuoco avrebbe dovuto saperlo.

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