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Kohl, il padre della Germania che i tedeschi non amavano

L'ex cancelliere unì il Paese, ma non conquistò il popolo Merkel: «Noi e l'Europa gli dobbiamo la nostra libertà»

Kohl, il padre della Germania che i tedeschi non amavano

Rispettato, ricordato e celebrato. Ma forse mai amato come meritava. Per Helmut Kohl gli ultimi anni di vita sono stati un tramonto amaro: chiuso nel suo villino di Oggersheim, in Renania; costretto a fare i conti con condizioni di salute da tempo precarie, immobile su una sedia a rotelle e con la parola ridotta a un biascichio poco comprensibile. Con lui solo la seconda moglie, Maike Richter, sposata nel 2005, di 34 anni più giovane, accusata dalla stampa tedesca di avere creato, con le sue paranoie, una barriera impenetrabile tra il vecchio cancelliere e il resto del mondo. Una fine malinconica per l'uomo che nel 1998, dopo 16 anni di potere indiscusso, il rivale e successore Gerhard Schroeder aveva salutato come padre della riunificazione e della nuova Europa.

Tra l'omaggio di una Germania finalmente unita e la solitudine dell'ex uomo di potere una cesura profonda e per molti tedeschi insuperabile: lo scandalo dei contributi illeciti al partito, la Cdu, la democrazia cristiana. Kohl aveva assunto la piena responsabilità politica di quanto accaduto ma aveva rifiutato di fare i nomi dei donatori. Gli eredi politici, Angela Merkel in prima fila, lo avevano abbandonato al suo destino; segnato dalla disapprovazione pubblica aveva dovuto lasciare l'incarico di presidente onorario. Con una sottoscrizione era riuscito a raccogliere 8 milioni di euro (700mila li aveva messi lui personalmente) per chiudere ogni pendenza giudiziaria.

Visti con la prospettiva di oggi i demeriti di Kohl appaiono di poco conto e anche in Germania la sua morte sarà l'occasione per una celebrazione del ruolo fondamentale giocato nel garantire all'Europa una fine senza scosse al dopo-guerra fredda. Insieme a Konrad Adenauer, Kohl è l'uomo che più ha contribuito a fare la Germania e l'Europa come sono oggi. Con una prontezza unica ha saputo cogliere la finestra temporale rappresentata dalla presenza del riformatore Michail Gorbaciov al Cremlino, per risolvere il più intricato nodo geopolitico degli ultimi decenni. E la mancanza della sua visione si è sentita con drammatica acutezza negli anni più difficili per l'Europa, quelli della crisi dell'euro. Eppure il suo destino non sembrava affatto scritto nelle stelle.

Classe 1930, Kohl aveva scalato le gerarchie del partito fino a diventare Minister-President della Renania Westfalia, il Land più popolato di Germania. All'apparenza un solido uomo d'apparato, un burocrate del potere. Non altro. Il suo grande rivale Franz Joseph Strauss, il leone di Baviera, capo indiscusso della Csu, la democrazia cristiana di Monaco e dintorni, non aveva avuto dubbi nell'inquadrarlo: «Kohl non diventerà mai cancelliere. Gli mancano le caratteristiche politiche e intellettuali. Gli manca tutto». Eppure a schiantarsi politicamente contro un muro sarà proprio Strauss, mentre Kohl nel 1982 approfitterà dello sfaldamento della coalizione tra socialdemocratici e liberali che aveva portato al Cancellierato Helmut Schmidt, per batterlo nell'unico voto di sfiducia costruttiva svoltosi con successo nella storia tedesca.

Da cancelliere Kohl conferma subito il solido ancoraggio europeo della repubblica di Bonn. A Bruxelles lo chiamano l'ufficiale pagatore: tutte le volte che ci si accapiglia sui soldi e una trattativa comunitaria rischia di fallire, lui lascia che la situazione arrivi al limite di rottura. Poi arriva e stacca un assegno: è il simbolo concreto della missione (e del senso di colpa) della classe dirigente tedesca del dopoguerra. Una foto diventa un simbolo. Nel 1984 è a Verdun con François Mitterrand per commemorare i 70 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale: mentre suonano gli inni nazionali i due si tengono per mano sopraffatti dall'emozione. Ma in Germania il cancelliere non piace all'establishment, soprattutto a quello intellettuale e giornalistico: lo prendono in giro perché non è uomo di mondo, non parla inglese, è un pessimo oratore e, anzi, parla come se avesse una patata in bocca. A sinistra comanda la Toskana Fraktion, i «bon vivant» cosmopoliti che vengono in vacanza nella Toscana tanto di moda tra i radical chic. Lui diventa il simbolo della Saumagen Partei, il partito della pancia ripiena, l'indigesto piatto che rappresenta la tradizione della sua zona di provenienza. Kohl se ne compiace e coltiva l'immagine da tedesco medio.

Eppure proprio il più «medio» tra i cancellieri tedeschi si dimostrerà un maestro nel portare a termine in un anno o poco più l'unificazione sfruttando i giorni frenetici tra l'89 e il '90. Coltiva con abilità i rapporti con i leader cechi e ungheresi e li convince a una politica accomodante con i tedeschi dell'est che chiedono rifugio nelle ambasciate. Dopo una prima esitazione, abbraccia la politica riformista di Gorbaciov: giocando abilmente la carta del potere economico e della moderazione politica, ne diventa il maggior alleato. Quanto ai vicini europei, prima li fa imbufalire presentando un piano in 10 punti per la riunificazione senza consultarli. Poi li tranquillizza garantendo che la nuova Germania si muoverà sotto un tetto europeo. Conquista il più ostico, Mitterrand, accettando di ingabbiare la forza del marco tedesco, tradizionale spina nel fianco dei francesi, nella nuova moneta unica. Una costruzione incompiuta, certo, e di cui tutto il vecchio continente pagherà il prezzo ai tempi della grande crisi finanziaria e di bilancio. Ma anche un formidabile esempio di scaltrezza politica e abilità diplomatica. Per portarlo a termine non esita a entrare in rotta di collisione anche con l'influente Bundesbank, contraria al cambio alla pari degli svalutatissimi marchi dell'ex Ddr.

Negli anni successivi i nodi di una riunificazione organizzata alla svelta, sull'onda delle favorevole circostanze politiche, vengono al pettine. Kohl aveva promesso che nel giro di tre o quattro anni i nuovi Laender orientali si sarebbero trasformati in «paesaggi rigogliosi». La frase diventa la sua maledizione e l'ex Ddr sembra mutarsi in una desolata terra di emigrazione, una sorta di «Mezzogiorno» (espressione molto usata e molto temuta dai tedeschi) in salsa nordica. E a pagare caro il deserto sono con tasse più alte i cittadini dell'Ovest, che hanno ragioni diverse dai loro concittadini orientali, ma altrettanto sentite per lamentarsi. La sconfitta elettorale è del '98. L'invecchiato e ormai enorme cancelliere («Quanto peso? Mi dispiace ma è un segreto di Stato») viene battuto dai socialdemocratici. È anche una svolta generazionale. Con lui lascia il potere chi ha vissuto il regime hitleriano e la seconda guerra mondiale (Kohl aveva perso l'amatissimo fratello). La politica tedesca non sarà più condizionata dai timori per il passato.

Sull'uomo si abbattono una dopo l'altra tragedie personali e familiari. La malattia della prima moglie Hannelore, una rara forma di allergia alla luce, si fa sempre più grave. La donna è costretta vivere nella penombra, e a uscire di casa solo con il buio. Nel 2001 non resiste più alla situazione e si suicida. I rapporti con i figli Peter e Walter, che lo accusano di essere insensibile e anaffettivo, si fanno sempre più difficili. Alle seconde nozze del padre non ci sono e negli ultimi anni non si incontreranno mai. Nel 2008, il crollo: in circostanze mai del tutto chiarite, forse per un aneurisma, Kohl cade mentre è in casa. Lo trovano qualche ora dopo in una pozza di sangue. Ha danni seri al cervello. Da allora si trasformerà nel grande recluso della politica tedesca.

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