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L'agenda triste dei 100 giorni tra manovra e riforme bluff

Il nuovo esecutivo pietirà a Bruxelles maggiore deficit Decreti Salvini in bilico. È caos sul taglio delle poltrone

L'agenda triste dei 100 giorni tra manovra e riforme bluff

Il Conte bis parte con una missione iniziale già assegnata: la straordinaria crisi di governo a ferragosto fa sì che i fatidici primi cento giorni siano dedicati alla legge di Bilancio. Il percorso a tappe forzate inizia da subito, con la prima scadenza fissata al 27 settembre: la presentazione della Nadef, la nota di aggiornamento al Def che contiene le previsioni sull'andamento dell'economia. Il primo Conte partì con stime di crescita del Pil sfacciatamente esagerate che dovette smontare di lì a poco, sulla scorta anche del rialzo dello spread e di mercati in tensione da sovranismo-populismo che l'Italia ha pagato caro.

I giallorossi in teoria partono in salita, dovendo inventare di corsa una manovra finanziaria, ma lo scenario internazionale è più favorevole. Pd e Cinque stelle sono stati grandi elettori di Ursula von der Leyen e la nuova presidente della Commissione Ue ha già ventilato una mano più leggera verso la situazione contabile dell'Italia, e lo spread è già piombato verso il basso. Anche Berlino, con la sua economia in affanno, attenuerà il cipiglio severo che ha sempre opposto alle politiche espansive, comprese quelle monetarie della Bce. Vista la maggiore esperienza politica del Pd, si può dunque supporre che il nuovo governo non ripeterà l'errore di un eccessivo ottimismo, incassando poi il dividendo dell'eventuale miglioramento del quadro. Il 15 ottobre sarà la volta della presentazione delle linee guida della manovra, con le tabelle dei saldi. E qui giocherà un ruolo importante il rapporto con Bruxelles, che potrebbe concedere all'amico Conte l'agognata flessibilità. Cioè nuova spesa pubblica in deficit, il mostro esorcizzato dal Pd che ora diventerà improvvisamente cosa buona e giusta.

Spesa pubblica per fare cosa? All'ordine del giorno il taglio del cuneo fiscale. Niente di decisivo per le tasche dei lavoratori, viste le risorse scarse, ma il governo avrà modo di dare un primo segnale positivo ai suoi elettori di riferimento (specie quelli del Pd) con una mossa che non dovrebbe trovare contrarietà da parte dei grillini. Che a loro volta potrebbero, in cambio, chiedere di portare avanti il ddl sul salario minimo, su cui a sinistra si può trovare intesa. Scontato è il tentativo di disinnescare l'aumento dell'Iva, bandiera usata per giustificare l'alleanza tra nemici giurati.

L'altra certezza è una mano di verde sulla manovra. I toni da utopia green uniscono davvero Pd e M5s, anche se dietro i bei discorsi c'è, per fortuna, lo stralcio del no a trivelle e termovalorizzatori. L'occasione perfetta è il 23 settembre, quando Conte e il ministro dell'Ambiente parteciperanno al summit sul cambiamento climatico di New York, appuntamento molto atteso, anche perché preceduto da una grande mobilitazione guidata da Greta Thunberg (prima figurina di un costruendo pantheon giallorosso). A quell'appuntamento il premier non potrà presentarsi a mani vuote e potrebbe attingere al lavoro fatto dal già ministro gialloverde Sergio Costa, puntando ad esempio su sgravi per chi acquista beni sfusi, sulla falsariga di quelli già assegnati ai produttori che eliminano gli imballaggi. Oppure nuovi incentivi contro i carburanti fossili o la mobilità sostenibile, tema che Grillo ha citato nel suo discorso decisivo.

C'è poi il nodo dell'immigrazione, con la promessa di rivedere il decreto sicurezza bis. Ma lì la strada è segnata: Zingaretti e Di Maio hanno concordato un semplice «ammorbidimento» delle norme, limitato alle indicazioni del presidente della Repubblica.

Infine le riforme costituzionali: Pd e 5s hanno un accordo per calendarizzare a fine settembre il voto sul taglio dei parlamentari che avverrebbe in ottobre. In parallelo si impegnano ad avviare la riforma della legge elettorale e a incardinare una riforma costituzionale che riequilibri il Parlamento dopo il taglio alla cieca.

«Un esempio - spiega il costituzionalista Alfonso Celotto - è il meccanismo di elezione del presidente della Repubblica: tagliando i parlamentari, i 60 delegati delle Regioni acquisirebbero un peso sproporzionato: gli equilibri sono tutti da rivedere».

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