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L'alchimia della moda secondo Gucci: tutto si può indossare

Scenografica passerella di oltre 120 modelli Nel parterre Charlotte Casiraghi e la Golino

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«Sono il costumista di me stesso, faccio moda senza pensare alla moda, sono come un alchimista che prende le cose povere e le trasforma in oro». Alessandro Michele usa sempre un linguaggio da ermetista per parlare del suo lavoro. Ieri, però, l'uomo che nel suo ruolo di direttore creativo di Gucci divide et impera sul fashion system internazionale, è stato così chiaro da riuscire a spiegare in poche parole la più complessa sfilata che si possa immaginare. Lo show si svolge nel nuovo quartier generale della griffe delle due G costruito negli ex capannoni industriali delle officine Caproni in via Mecenate a Milano: 35 mila metri quadri di fascinosi reperti d'archeologia industriale restituiti a nuova vita. Gli 800 invitati vengono fatti accomodare in una sala ricoperta da velluto viola a cominciare dal ricco tendaggio che nasconde un'incredibile passerella di plexiglas. I 120 modelli (80 donne e 40 uomini: un fiume umano) sembrano sfilare in loop dentro una galleria trasparente al centro della quale c'è una piramide con sopra un gallo in ferro battuto, simbolo della trasmutazione alchemica secondo René Guenon. «Come un alambicco in cui mescoli gli ingredienti e non sai cosa viene fuori» spiega Alessandro raccontando di esser partito da un erbarium e a furia di aggiungere fiori, foglie, insetti e animali si è ritrovato in «un laboratorio antimoderno». L'alchimia del desiderio che da sola giustifica i sensazionali risultati economici di Gucci (più 21 per cento nel quarto trimestre 2016) si alimenta di cose strane e meravigliose come alcuni pezzi da donna tipo la pelliccia in visone bianco con fiori intarsiati sulla schiena, un sublime abito nero a ruche, il vestito da sera celeste ricamato a cristalli e i completi di broccato. Le proposte da uomo sono ai confini del ridicolo: c'è perfino la tutina del film comico Borat però in lurex, un completo che imbarazzerebbe Pinocchio e le polpe settecentesche. Accanto a tutto ciò ci sono alcune donne con l'intero volto coperto da un velo d'argento. «La moda ti può mascherare spiega - chi si mette le cose più sberluccicanti è sempre un po' triste: quando si è così non si vuole più essere, per questo ho coperto la faccia». Ben diverso il significato dell'hijab che copre il volto di Halima Adem, modella somalo-americana di osservanza mussulmana sulla passerella di Alberta Ferretti. L'adorabile stilista di Cattolica ha partecipato a un matrimonio negli Emirati dove è rimasta incuriosita da queste donne belle e velate. Anche qui c'è l'idea della moda come maschera ma solo perché il tema di collezione è Venezia, la città che fa sognare. Alcuni modelli stupendi: la pelliccia a righe da gondoliere, il cappotto con il leone marciano ricamato sulla tasca, l'abito da sera in piume. Mantelli e cappelli da dogaressa fanno un po' troppo costume da Carnevale. Eppure han ragione gli stilisti che credono nel potenziale di questo nostro magnifico Paese. Alessandro Dell'Acqua per N. 21 fa una sensazionale ricerca su Anna Magnani, sulla sua prorompente italianità sul set dei suoi due film americani: La rosa tatuata e Pelle di serpente. Meravigliosa la sfilata di Fausto Puglisi dedicata al nostro cinema (da Fellini a Sorrentino), alle sedie di broccato della Galleria Doria Pamphili, a Gomorra e a The Young Pope. Niente male anche lo show di Wolfgang Joop che ha portato il suo marchio Wunderkind a Milano.

Certo lui è tedesco, di Postdam, ma non ha la durezza dell'ex Germania dell'Est, guarda alla moda con l'incanto di un innamorato.

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