Politica

L'altra velocità della giustizia: la Procura non accelera

Patricia Tagliaferri

Roma I tempi della giustizia sono diversi da quelli della politica. Anche quando potrebbe esserci il destino di un governo appeso all'esito di un interrogatorio. Così, nonostante lo scatto in avanti del premier Giuseppe Conte, che ha annunciato la rimozione del sottosegretario leghista Armando Siri nel prossimo Consiglio dei ministri, la Procura di Roma - che ha indagato per corruzione l'ideologo della flat tax per una presunta tangente da 30mila euro che gli sarebbe stata pagata e/o promessa affinché sollecitasse l'approvazione di norme favorevoli all'eolico - non ha impresso alcuna accelerazione all'inchiesta.

L'interrogatorio dell'esponente del Carroccio e dell'imprenditore Paolo Arata, che lo considerava un «suo uomo» e contava su di lui per l'approvazione di emendamenti di interesse per il settore delle energie rinnovabili, ancora non è stato fissato. Così come quello di Arata, che dovrà comunque essere ascoltato prima di Siri affinché chiarisca la natura del loro rapporto. Probabilmente i magistrati romani, che hanno ereditato per competenza parte del fascicolo dai colleghi di Palermo, decideranno soltanto lunedì le date degli interrogatori. Il sottosegretario punta molto sul faccia a faccia con i magistrati che lo hanno messo sotto inchiesta. È convinto di poter dimostrare la sua innocenza e per questo si è detto fin dall'inizio disponibile a farsi sentire dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, soprattutto ora che il Tribunale del Riesame, al quale si era appellato Arata, ha depositato le carte dell'indagine e ha potuto prendere visione delle carte, anche delle intercettazioni che lo hanno messo nei guai, soprattutto quella ambientale del settembre 2018 in cui si sentirebbero Arata parlare al figlio tirando in ballo Siri e in particolare i trentamila euro che sarebbero stati pagati e/o promessi in cambio di favori all'esponente leghista. «Se non ci sono novità dai pm entro 15 giorni mi dimetto», aveva detto tre giorni fa Siri nell'estremo tentativo di respingere l'offensiva dei Cinque Stelle che chiedevano a gran voce le sue dimissioni. Una mossa senz'altro concordata con il vicepremier Matteo Salvini, che aveva cercato in tutti i modi di blindarlo.

Fino alla forzatura di Conte.

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