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L'America è tornata grande. E gli Stati canaglia tremano

Per la prima volta in 40 anni gli Usa minacciano guerra in tre diversi angoli del mondo. Trump passerà ai fatti?

L'America è tornata grande. E gli Stati canaglia tremano

Di nuovo il mondo si chiede se Donald Trump fa sul serio o se recita. Quel che possiamo dire di sicuro è che mai un presidente degli Stati Uniti, dopo Theodore Roosevelt, lontano parente del più noto Franklin Delano Roosevelt che regnò negli anni della seconda guerra mondiale, ha mai minacciato apertamente davanti al mondo intero, come ha fatto il quarantesimo presidente americano due giorni fa, di intervenire militarmente e diplomaticamente su tre diversi scenari: in Estremo Oriente, in Medio Oriente e in America Latina.

Donald Trump ha infatti minacciato di «annichilire» la Corea del Nord, di stracciare i trattati con l'Iran e di mettere in quarantena Cuba e il Venezuela. Una tale veemenza, determinazione e minaccia dell'uso della forza anche nucleare non erano mai state espresse i termini non soltanto netti ma anche ideologici dai presidenti dello scorso secolo, neppure nei momenti più tesi della guerra fredda. Nell'aula del palazzo delle Nazioni Unite la tensione era martedì altissima e gli ambasciatori cubano, iraniano e venezuelano apparivano terrei, come quello coreano: tirava un forte vento di guerra come non si era mai sentito nei decenni scorsi.

Resta da vedere se Trump passerà dalle parole ai fatti e quando, ma sembra impossibile che gli Stati Uniti non considerino a questo punto un non specificato casus belli il lancio di un altro missile coreano armato con una bomba H in grado di colpire la costa orientale degli Stati Uniti come sembra certo che accada. Il dittatore di Pyongyang sa quale rischio corre e la Cina è costretta a sua volta a prendere atto di parole che sono fatti.

È stata questa la prima esibizione della politica mondiale che va sotto il nome di «America First»: la Casa Bianca repubblicana rinnega tutto ciò che ha fatto Obama con papa Bergoglio e con i fratelli Castro per far uscire Cuba dall'isolamento ma senza obbligare il regime comunista a pagare pegno e farsi da parte concedendo la democrazia.

Trump intende cancellare l'accordo e ingaggiare un duello finale con Raul Castro sopravvissuto al fratello Fidel e ha avuto parole di fuoco per Il Venezuela: «Il loro problema non è che il socialismo non ha funzionato, ma che ha funzionato perfettamente distruggendo il Paese e la libertà».

Gli Stati Uniti dunque si considerano di nuovo in casa loro in America Latina, non hanno alcuna intenzione di cedere alla Cina il controllo dell'Asia così come non vollero cederlo al Giappone e si considerano in prima linea nella difesa anche armata, se occorresse, di Israele minacciato dall'Iran.

Chi finora ha scommesso sul sostanziale bluff di un uomo più incline a sparare parole che bombe è costretto a riflettere: ogni presidente americano ha avuto la sua guerra - Bill Clinton bombardò Belgrado e Obama intervenne in Libia nello sciagurato intervento contro Gheddafi - e tutte le probabilità sono a favore di una prova di forza di Trump. Il presidente sta raccogliendo d'altra parte insperati successi fra i conservatori democratici e gli indipendenti che ormai costituiscono una terza forza politica forte e capace di determinare la rovina o il successo di una amministrazione.

Trump dovrà affrontare fra un anno le elezioni di mezzo termine e una vittoria militare rapida e galvanizzante farebbe al caso suo, ma le incognite di un bombardamento atomico ai confini con la Cina sono ancora incalcolabili: Pechino ha già impegnato dieci milioni di soldati sul confine coreano ed ha avvertito Trump che la Cina interverrà in Corea in caso di invasione americana.

Trump dunque gioca col fuoco, ma sembra del tutto sicuro del fatto suo e felice che il suo messaggio sia stato capito da tutti gli attori mondiali.

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