Economia

La truffa del piano Juncker. Per l'Italia nessun vantaggio

Nel piano di investimenti da 300 miliardi i nostri soldi finanzieranno solo progetti di altri Paesi europei. E chi ci guadagna è la Germania

La truffa del piano Juncker. Per l'Italia nessun vantaggio

Un sostegno allo sviluppo dell'Unione europea? No, piuttosto un mezzo alternativo per sviluppare il Lebensraum , lo spazio vitale della Germania con la compartecipazione degli altri Paesi europei. In buona sostanza, un pacco. Ecco cosa rischia di diventare il tanto sbandierato «piano Juncker» per rilanciare lo sviluppo dell'Europa.

Anche il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, solitamente poco avvezzo alle polemiche, ieri nel corso della riunione Ecofin a Bruxelles ha alzato un po' la voce. Il governo italiano, è il senso dell'intervento, «è preoccupato per la definizione di una possibile “lista nera” degli investimenti definita ex ante» da parte dell'Antitrust europeo in relazione a eventuali aiuti di Stato. Il rilievo è persino troppo garbato per i potenziali risvolti negativi che potrebbero interessare l'Italia. Il progetto di investimenti pubblici da 21 miliardi (16 miliardi del bilancio europeo e 5 miliardi della Bei), che dovrebbe sviluppare grazie ai privati un effetto leva da 315 miliardi, rischia di essere un flop per il nostro Paese.

Nei mesi scorsi i principali Paesi, tramite le rispettive istituzioni finanziarie (Cdp per l'Italia, Caisse des Dépôts per la Francia e Kfw per la Germania), hanno fatto sapere di essere pronti a compartecipare all'iniziativa. La Cassa presieduta da Franco Bassanini è disposta a investire 8 miliardi. Ovviamente, ciascuna nazione vorrebbe finanziare iniziative di interesse strategico per il proprio mercato interno, comprese le infrastrutture di telecomunicazione. Ma la bozza di regolamento del Fondo per gli investimenti strategici (così si chiama il veicolo del piano Juncker) prevede che i progetti finanziati evitino «la creazione di barriere all'entrata» di ogni singolo mercato. Che è un po' come sbarrare la strada a un ipotetico progetto italiano realizzato anche con capitali pubblici italiani.

Padoan e i tecnici di Via XX Settembre si stanno arrovellando da parecchi mesi, ma hanno un problema ancor più grande che si chiama Patto di Stabilità. Se gli Stati finanziano il Fondo, quei miliardi sono scomputati dal Patto. Ma se vogliono cofinanziare un intervento nazionale nell'ambito del piano, quello è deficit. Che cosa vorrebbe dire ora come ora? Molto semplice: se un singolo Stato volesse finanziare il Fondo, per essere tranquillo di non incappare in qualche tegola burocratica dovrebbe disinteressarsi di dove quei soldi vengono investiti. La Francia finanzia la Polonia e l'Italia la Lituania? Sulla carta tutto ok. D'altronde, quello che poi è diventato il «piano Juncker» era stato originariamente pensato come un sostegno ai Paesi entrati per ultimi nell'Unione, cioè quelli dell'Est Europa, mercato di sbocco naturale dei prodotti tedeschi. Non è un caso che la Germania non stia protestando: Berlino vince in ogni caso.

Quello che Padoan sta cercando di spiegare a Bruxelles è che se l'intervento pubblico sostiene un progetto, è perché gli investitori privati non si sentono in grado di assumersi il rischio. E questo di per sé non è un aiuto di Stato. Anche il governo Renzi comincia a sentire puzza di bruciato. Con un po' di ritardo: i circa 2mila progetti presentati preliminarmente dall'Italia sono stati bocciati.

Non è possibile che fosse tutto da buttare via ameno che il vincitore della «lotteria Juncker» non sia stato deciso a tavolino.

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