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L'arma conflitto di interessi per eliminare gli editori

Di Maio: «Presto la legge, basta commistioni tra stampa e politica». Dai fondi tagliati all'Ordine, le altre punizioni

L'arma conflitto di interessi per eliminare gli editori

A vere un nemico fa sempre comodo. E così i Cinquestelle, non potendo più puntare il dito contro il potere, il governo e il Parlamento, di cui sono ormai i principali azionisti, rivolgono le loro affettuosità verso giornalisti ed editori.

Non ci sono solo gli insulti e le liste dei «pennivendoli» graditi e non, a fare notizia ma anche la produzione di vere e proprie misure punitive per il sistema dell'informazione. Nella legge di Bilancio 2019 è previsto un «azzeramento graduale del fondo pubblico per l'editoria». Non si tratta di finanziamenti a grandi giornali o giornali di partito - da tempo aboliti - ma di fondi per le cooperative giornalistiche; imprese possedute interamente da enti senza fine di lucro; quotidiani e periodici delle minoranze linguistiche; enti che editano periodici per non vedenti o ipovedenti; associazioni di consumatori; imprese editrici di quotidiani e periodici diffusi all'estero e le radio e tv locali.

Questo, però, è soltanto l'ultimo affondo. Di misure anti-editoria ne sono state pensate e annunciate parecchie. Vito Crimi ha parlato di rivedere le agevolazioni postali. Luigi Di Maio ha puntato il dito contro le inserzioni pubblicitarie da parte delle aziende controllate dallo Stato. «Stiamo approntando la lettera alle società partecipate dallo Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali (con investimenti spropositati e dal dubbio ritorno economico) per evitare che si faccia informazione sui loro affari».

Sempre il capo politico dei Cinquestelle ha annunciato che «è arrivato il momento di fare una legge contro il conflitto di interessi così chi possiede dei giornali non avrà più commistioni con la politica». E ieri Di Maio ha ricordato che «c'è una proposta di legge che porteremo a breve in Parlamento che incentiva i cosiddetti editori puri, cioè quegli editori che non hanno interessi politici né economici». Il ministro della Giustizia su questo si è detto pronto a sfidare Matteo Salvini per il quale «il conflitto di interessi non è una priorità». «Non ho dettagli sui tempi» dice Alfonso Bonafede «ma la legge sul conflitto di interessi è una priorità, il contratto di governo è chiarissimo. Non ho bisogno di chiedere nulla a Salvini». Senza dimenticare la volontà sempre di Crimi, sottosegretario con delega all'Editoria, di «rivedere il sistema delle agenzie di stampa che sono troppe». E la «promessa» di presentare una proposta per l'abolizione dell'Ordine dei giornalisti.

L'accanimento contro un settore in crisi e che svolge una funzione pubblica è dunque dichiarato, oltretutto a opera di un movimento i cui leader frequentano a loro modo il mondo del giornalismo. Alessandro Di Battista ha dichiarato di aver firmato «un bel contratto» con il Fatto Quotidiano per i suoi articoli dall'America, Luigi Di Maio è giornalista pubblicista.

Chi mostra maggiore equilibrio e rispetto della libertà di stampa è Giuseppe Conte. A Palermo un giornalista prende la parola e ringrazia il presidente del Consiglio per la sua visita a sorpresa nel Media center di Villa Igiea. Ma poi chiede al premier un commento sulle dure parole pronunciate da Di Maio contro i giornalisti. E a questo punto scatta l'applauso di tutti i colleghi presenti. Conte prima scherza: «C'è l'insidia, mi stavo commuovendo». Poi spiega serio: «Ho fatto quel gesto perché volevo vedere come vi stava trattando l'organizzazione. Ma vorrei chiarirlo, questo governo, e non solo io personalmente, è per la libertà di stampa, non dovete assolutamente temere. Come spesso voi attaccate violentemente noi, può capitare che anche voi veniate attaccati violentemente.

Ci sta».

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