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L'assalto renziano alla Rai fa infuriare pure la sinistra

Le parole del democratico Anzaldi ("al Tg3 non hanno capito chi è premier") scatenano le polemiche. Renzi prova a smorzare: "Non faccio liste di proscrizione"

L'assalto renziano alla Rai fa infuriare pure la sinistra

I tempi delle feroci ondate di indignazione, degli scioperi e dei girotondi contro la Rai dell'era berlusconiana sono lontani. Ma sebbene tutto si svolga su scala ridotta rispetto ai tempi del centrodestra al governo, il ruggito dei renziani contro i direttori di RaiTre e del Tg3, accusati di essere troppo duri con il governo e di «non aver capito chi ha vinto, chi è premier oggi», non passa inosservato agli occhi di una parte della sinistra italiana.

La sensazione è quella di un avvertimento, di un richiamo all'ordine, di un «invito» a una correzione di rotta per la tv pubblica. E così se il comitato di redazione del Tg3 giudica le parole del rappresentante del Pd in Vigilanza, Michele Anzaldi, «inaccettabili», e aggiunge: sognano «una Rai totalmente asservita al potere di turno», dentro il Consiglio di Amministrazione, solo Carlo Freccero bolla come «grave» la vicenda, «una cosa indegna». Alza la voce la sinistra Pd, con Miguel Gotor che definisce «imbarazzanti» le parole di Anzaldi. «Si tratta di giudizi lesivi della dignità professionale di tanti lavoratori della principale azienda culturale italiana, ai quali, in qualità di membro del Partito democratico della commissione di vigilanza Rai, desidero esprimere tutta la mia solidarietà». E Roberto Speranza aggiunge: «Non tocca alla politica definire i contenuti di tg e talk show. Le affermazioni di questi giorni può farle Berlusconi. Non certo il Pd».

Ci sono anche i giudizi di tre illustri giornalisti ad alimentare il dibattito e ad accendere i riflettori sul caso. Ezio Mauro, in apertura della riunione di redazione di Repubblica dice: «Tira una brutta aria sulla Rai, questi sono atti scomposti di chi vuole fare la pelle al Tg3 e a RaiTre, dopo l'ironia fatta sui talk-show e Rambo. Non tocca al presidente del Consiglio dare giudizi sui programmi tv. Anche l'invito lanciato alla tv pubblica di “guardare con più ottimismo alle vicende del Paese”, semplicemente non spetta a lui farlo. C'è qualcosa che colpisce nel frullatore di pensiero che è diventato il Pd. Si vuole il guinzaglio per la Rai, ma non si può pensare che la Rai sia la voce del padrone». Da Repubblica al Corriere della Sera . «In gioco c'è il destino di Rai Tre» scrive Antonio Polito «molto più di una rete, una vera e propria chiave di accesso al cuore e alle menti del popolo di sinistra». Il vicedirettore del quotidiano di Via Solferino se la prende con «la mazza ferrata usata da Anzaldi, un mini-editto bulgaro. E fa notare come dopo la promessa rivoluzione - «fuori i partiti dalla Rai» - gli uomini di partito della Vigilanza siano tornati a comandare. «Stavolta però neanche un girotondo, un ottavo nano da salvare, un articolo 21 da invocare». Duro anche il giudizio di Gad Lerner: «La requisitoria di Anzaldi conferma la svolta annunciata da Renzi: vuole una Rai sottomessa ai partiti».

Dopo le polemiche, però, Matteo Renzi in un'intervista al Tg3 fatta dal direttore Bianca Berlinguer, prova a stemperare il clima. «Sulla Rai - dice il premier - il governo non fa liste di proscrizione. Ovviamente non c'è nessuna volontà di mandare a casa nessuno. Io credo che la Rai e il sistema dell'informazione deve essere libero e indipendente e deve raggiungere dei risultati. Senza nessun editto bulgaro, senza nessuna lista di proscrizione». Alla Berlinguer che lo invita a richiamare Michele Anzaldi, Renzi dice: «Io non richiamo nessuno. Quello che interessa ai cittadini e che l'Italia riparta. Alla Rai c'è un signor direttore generale che è un gran professionista. Io devo governare, non fare editti bulgari. Fare nomi e cognomi di chi cacciare è un problema di chi fa i nomi e i cognomi. Io so cosa fa il governo, che non si occupa di cacciare qualcuno ma di creare posti di lavoro.

Non servono le polemiche».

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