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L'asse Quirinale-Cdp funziona: garanzie agli Usa e tanti soldi

Mattarella ha rassicurato gli alleati e gli operatori finanziari. Così ha dato l'ok finale e ha oscurato Conte

L'asse Quirinale-Cdp funziona: garanzie agli Usa e tanti soldi

La firma degli accordi tra Italia e Cina ha due protagonisti: uno politico e l'altro economico. Si può affermare, tuttavia, che uno sia la prosecuzione dell'altro o, quanto meno, che il braccio finanziario pubblico sia espressione non tanto del governo pro tempore quanto delle massime istituzioni e, pertanto, sia destinato a vivere di vita propria anche dopo la fine dell'attuale maggioranza parlamentare.

Se, dunque, ieri a Villa Madama le intese sono state siglate lo si deve al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da una parte e alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) dall'altra. Se il capo dello Stato non si fosse fatto promotore dell'interesse nazionale nello stringere accordi con il gigante asiatico tranquillizzando, almeno parzialmente, gli alleati occidentali, nulla sarebbe accaduto. Analogamente, l'instradamento italiano sulla nuova Via della Seta se Cdp non avesse costruito l'«impalcatura» di questa nuova alleanza attraverso la partnership con Bank of China che darà il via a un piano di emissioni di panda bond, destinati agli investitori istituzionali operanti in Cina e i cui proventi saranno utilizzati per finanziare succursali o controllate di aziende italiane nel Paese asiatico. Analoghe intese sono state siglate da Sace e Simest, controllate Cdp, così come di rilevante importanza è l'asse tra la Cassa, Snam e Silk Road Fund per l'individuazione di iniziative congiunte in Cina e in Italia.

Andando a ritroso si può risalire alla dorsale «politica» di queste intese. In primo luogo, questi accordi sono l'espressione del nuovo corso della Cassa che si propone, come dichiarato in una recente intervista dell'ad Fabrizio Palermo. «Negli ultimi anni Cdp è stata troppo alla ribalta per gli interventi straordinari, quelli fatti e quelli immaginati», aveva dichiarato al Sole 24 Ore aggiungendo che «la missione del gruppo è un'altra: supportare le aziende, la pubblica amministrazione e lo sviluppo infrastrutturale del Paese; per questo andremo sempre di più dove le imprese vivono, producono, vendono». Queste parole, messe in pratica ieri con il memorandum of understanding con il quale si sostiene l'export italiano in Cina, rappresentano una piena sconfessione della mission che il Movimento 5 Stelle voleva affibbiare alla Cassa, ossia quella di «braccio armato» dell'intervento pubblico dell'economia, una vera e propria nuova Iri, molto più che nel recente passato renziano.

La nuova guida della Cassa, con il presidente Massimo Tononi (ex sottosegretario dei governi Prodi e Monti, ex Goldman Sachs e designato dalle Fondazioni bancarie) e l'ad Luca Palermo, ha invece scelto di assumere il pieno controllo delle operazioni e nella settimana che si è appena conclusa si è pure insediata al comando di Cdp Reti, la società che detiene le partecipazioni in Snam, Terna e Italgas e nella quale la cinese State Grid detiene una quota del 35 per cento. Tononi, che è manager di esperienza, è artefice del cambio di rotta della Cassa e non è un mistero che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l'anno scorso abbia «approvato» la designazione avvenuta in concomitanza con quella del nuovo direttore generale del tesoro, Alessandro Rivera.

Il capo dello Stato, democristiano e atlantista, ha tuttavia compreso che le strategie prodiane di avvicinamento alla Grande Muraglia potessero rivelarsi tutto sommato proficue. Secondo le voci di Palazzo, il presidente si sarebbe persuaso che la guerra dei dazi tra Pechino e Washington sia destinata a risolversi positivamente e, perciò, compiere il primo passo in direzione della Cina potrebbe essere tutt'altro che controproducente. E la conferma di questo intendimento viene dal ruolo di primo piano che Mattarella ha assunto nella tre giorni romana del presidente cinese Xi Jinping, oscurando di fatto tanto il premier Giuseppe Conte quanto il ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio.

E dal monte si scende di nuovo a valle. Nei primi giorni di vita del governo gialloverde il capo dello Stato aveva presenziato a Parma proprio al convegno annuale dell'Acri, l'associazione delle Fondazioni bancarie presieduta da una «vecchia volpe» democristiana come Giuseppe Guzzetti, proprio per rassicurare il sistema finanziario intero che non ci fosse nulla da temere del nuovo assetto politico in virtù della sua funzione di alta vigilanza.

Quella che si è esplicata grazie alla sinergia con la con la Cdp e con Massimo Tononi.

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