Politica

Il latino non vuole morire: ora fa più bello il curriculum

L'idioma dei romani conquista gli atenei d'Europa Adesso è certificato. E conquista le aziende americane

Mimmo di Marzio

«Si piglia gioco di me, che vuol ch'io faccia del suo latinorum?» sbottava contro don Abbondio il manzoniano Renzo, primo nemico ufficiale della cosiddetta lingua morta. Eppure quella stessa lingua, eterna dannazione di liceali immersi tra le pagine del dizionario Castiglioni e Mariotti perduti nella consecutio di Tacito, riemerge dalle ceneri come l'Araba Fenice rischiando di diventare materia di colloqui di assunzione. Assunzione, beninteso, non presso civiche biblioteche o di musei archeologici ma aziende multinazionali o società di consulenza che oggi vedono nel «latinorum» l'arma migliore del «problem solving», cioè il passepartout per dipanare le questioni più complesse.

A sciorinare i dati è il paladino più convinto dell'equiparazione del latino alle lingue moderne, al punto da averne ottenuto la certificazione al pari degli esami First, Esol, Ielts e Toefl o Goethe. Il professor Guido Milanese, docente della Facoltà di Scienze Linguistiche all'Università Cattolica di Milano sta già raccogliendo i frutti di una battaglia che solo in Lombardia ha portato oltre mille studenti all'iscrizione per l'ottenimento del CLL, acronimo che sta per Certificato di competenza della Lingua Latina.

Ma dobbiamo dimenticarci le odissee con il vecchio dizionario e le versioni di Cicerone. «Quello dei licei è un prodotto classicista confinato appunto alle traduzioni e ingessato in 200 anni, cioè dal I secolo AC al I DC. Il latino che interessa a noi contemporanei è la lingua radicata dall'Impero romano in tutta Europa e che ha mantenuto la sua contemporaneità - soprattutto negli studi filosofici - fino ai tempi di Giambattista Vico. Sotto il profilo culturale si tratta dell'unica vera radice comune d'Europa». Ma non sarebbe solo questa la ragione per cui la certificazione sulla conoscenza della Lingua latina (che assegna un bollino da A1 a B2) si sta diffondendo a macchia d'olio negli atenei italiani e anche stranieri, dalla Germania all'Olanda. «L'altra ragione è che, anche se a qualcuno può apparire paradossale, la certificazione dà oggi sempre più prestigio al curriculum vitae, guarda caso una parola latina rimasta universale. Per molte aziende questa conoscenza è un valore aggiunto nella capacità logica e nella comprensione della densità dei concetti. Insomma è sinonimo di open mind, un aspetto ricercato soprattutto dalle società americane», sottolinea Milanese, che è membro della Consulta dei professori universitari di latino e sta lavorando a un protocollo valido su tutto il territorio nazionale.

La certificazione, che infatti viene rilasciata in seno alla Facoltà di Lingue e non di Lettere classiche, impone il superamento di test studiati sul modello degli esami Cambridge Esol, ovvero analizzando la capacità dei candidati di intervenire su un testo.

«Il progetto non è nato con l'obbiettivo di certificare una lingua parlata, e infatti il mio corso si intitola Classical and European Civilisation, un corso di cultura classica voluto dall'Università per dare ai giovani il senso di un'identità comune della civiltà europea; un'identità da riscoprire oggi più che mai in quest'epoca di muri e di radicalismi religiosi».

Commenti