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La Lega adesso ha l'incubo Catalogna: giocare con l'autonomia è rischioso

A caldo il Carroccio aveva sostenuto la battaglia di Barcellona. Ma adesso tira il freno a mano: "Quel voto? Una forzatura"

La Lega adesso ha l'incubo Catalogna: giocare con l'autonomia è rischioso

È passata una settimana esatta dal controverso voto della Catalogna e la Lega sembra aver perso il suo iniziale e caloroso trasporto verso gli indipendentisti spagnoli. Giorni fa, per dire, c'erano ancora in Transatlantico deputati del Carroccio che ipotizzavano di presentarsi alle urne il prossimo 22 ottobre quando si voteranno i referendum sull'autonomia di Lombardia e Veneto con la maglietta del Barcellona. E nelle stesse ore il capogruppo della Lega in regione Lombardia, Massimiliano Romeo, chiedeva ufficialmente di far sventolare la bandiera della Catalogna fuori dal Pirellone in segno di solidarietà ai «fratelli» catalani. Per non parlare di Luca Zaia, visto che sul suo profilo WhatsApp campeggiava proprio la senyera gialla e rossa della Corona d'Aragona, a certificare la solidarietà verso la Catalogna perché, spiegava il governatore veneto, «dopo Barcellona tocca a Venezia». Una Lega in salsa catalana, insomma, con tutto il partito a puntare il dito contro Madrid e l'ex ministro Roberto Calderoli che invita l'Italia a ritirare il suo ambasciatore in Spagna. «Come contro la Lega in Italia è lo scenario che paventa Matteo Salvini in Spagna i poteri forti usano ogni mezzo per bloccare il cambiamento».

Questo a caldo. Perché passata una settimana esatta dal voto, il Carroccio pare aver corretto il tiro. E di molto. Il braccio di ferro tra Barcellona e Madrid, poche centinaia di chilometri da casa nostra, non è infatti un bel vedere. E forse anche tra i lombardi e i veneti chiamati alle urne il 22 ottobre non è passato inosservato che l'accelerazione della Generalitat di Catalogna al netto dei macroscopici errori del governo spagnolo rischia di avere come conseguenza un vero e proprio isolamento della regione. Dall'Europa al Vaticano, dalla Corte costituzionale spagnola alle maggiori banche che stanno lasciando Barcellona e Girona preoccupate dall'instabilità politica, non c'è nessuno che abbia non solo sposato ma anche semplicemente compreso le ragioni di una rottura così drastica. Insomma, a 15 giorni dai referendum italiani lo scenario spagnolo preoccupa e fa paura.

È per questa ragione che, giorno dopo giorno, la Lega ne sta prendendo le distanze. Niente più bandiere catalane sui profili WhatsApp e pure l'ipotesi di presentarsi ai seggi con la maglia blaugrana è stata archiviata. Di più: qualche giorno fa, intervistato dalla Stampa, Salvini è arrivato a dire che «il voto catalano è stato una forzatura». La parola d'ordine, insomma, è «normalità». Concetto sul quale avrebbe insistito anche Silvio Berlusconi nel suo ultimo contatto telefonico con Salvini.

Dopo la Brexit e la Catalogna, dunque, si è finalmente affacciata l'idea che «giocare» con i referendum è rischioso. Ne sa qualcosa David Cameron che sperava di uscire vincitore da una consultazione che confermasse il ruolo della Gran Bretagna in Europa e invece è finito per andare a sbattere, portando Londra fuori dall'Ue. Per questo la Lega ha invertito la rotta, consapevole che la partita si giocherà tutta sull'affluenza. In Veneto è previsto il quorum, in Lombardia no. Nella prima, essendo Zaia sostenuto da un quasi monocolore leghista, è probabile che si arriverà alla fatidica soglia del 50% più uno. Diverso il discorso in Lombardia, dove il successo o l'insuccesso politico del referendum si misurerà intorno all'affluenza: dal 40% in su Roberto Maroni potrà dirsi soddisfatto, se arrivasse al 45 avrebbe di fatto portato a casa un successo.

Ecco perché è così importante non spaventare l'elettorato.

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