Politica

La Lega dissangua i 5s ma non romperà (per ora)

Salvini aspetta e sfrutta le debolezze di Di Maio

La Lega dissangua i 5s ma non romperà (per ora)

Roma Una manciata di giorni fa Matteo Salvini ha dato l'addio al consiglio comunale di Milano. Dopo 25 anni. Era entrato ventenne, un ragazzino alla corte di Formentini. Alla stessa andatura costante ha marciato la sua scalata ai vertici della Lega, essendo qualità dell'uomo la pazienza, la tenacia, la prudenza. Per questo, chi immaginasse il leader leghista come arrembante galoppatore, mosso da frenetica bulimia di potere, hic et nunc, rischierebbe di prendere lucciole per lanterne.

Salvini è un trottatore, se vogliamo un panzer; vuole il potere, ma non ha fretta. «Quando governerò da solo - diceva pochi giorni fa - potrò fare questo e quest'altro, in tempi brevi. Ora sono contento di governare con i 5S, abbiamo cinque anni davanti». Cinque anni magari forse no. Ma la domanda da porsi presumibilmente è un'altra: se un ciclista potesse approfittare di questa comoda posizione, in gergo definita di «succhiaruote», sarebbe mai propenso a cambiarla prima che il traguardo si profili a 50 metri?

Ieri, nell'ennesima bufera polemica tra esponenti di governo, e dopo l'ennesimo sforzo mediatico di Di Maio per ribadire che il reddito di cittadinanza non è in discussione e «sarà operativo nei primi tre mesi del 2019», cioè giusto in tempo per le Europee, Salvini ha di nuovo smussato gli angoli. «Nessuna polemica, con i Cinque stelle stiamo lavorando bene, il nostro governo ha un'altissima popolarità e in cinque mesi abbiamo fatto più di chiunque altro. Sono molto soddisfatto per le leggi fatte e quelle in cantiere...». Epperò, nell'elencare «legittima difesa, stop sbarchi, riforma della Fornero», il vicepremier leghista non mancava di ricordare la misura cara a Di Maio, significativamente tramutatasi in «reddito di reinserimento al lavoro». Gutta cavat lapidem, dicevano i latini. «Goccia cinese», si definiva nel medioevo. Ed era una tortura tremenda.

Si può oggi supporre che entrare nel governo con Di Maio sia stato, per Salvini, come sottoscrivere Btp a tasso variabile (e scadenza medio-lunga). A giudicare dai rendimenti dell'investimento, un affare lucroso. Aveva la metà dei voti di Di Maio, ora lo sopravanza abbondantemente. Lui stesso nei sondaggi è sempre sopra il giovane collega vicepremier. Non basta: Di Maio è in perenne difficoltà con i suoi elettori, ha un Movimento «liquido» e nemici interni. Una crisi di governo, poi, per i grillini non è praticabile: sia per il vistoso calo di consensi, sia perché buona parte degli eletti è già al secondo mandato e vicina «alla sparizione dalla scena» (lo ricordava la senatrice Fattori).

Salvini, invece, non ha nemici: né nel quartier generale, né nella base. I ceti produttivi del Nord, in grave sofferenza per lo spread e la rovinosa politica degli annunci, stentano a vedere altri punti di riferimento che non siano Salvini. E persino il reddito di cittadinanza, dal punto di vista mediatico, «funziona» per allontanare la base grillina del Nord da Di Maio e avvicinarla al Carroccio.

Sarà dura ammetterlo ma, per un «succhiaruote» determinato come lui, rischiare il «sorpasso» ora sarebbe autentica follia.

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