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Legge elettorale nel caos. Il patto a quattro vacilla già

Oltre 100 franchi tiratori contro l'intesa Pd-Fi-M5s-Lega nelle prime votazioni in Aula. L'ok finale slitta a martedì

Legge elettorale nel caos. Il patto a quattro vacilla già

Nel giorno in cui la Camera inizia a votare sulla legge elettorale, il Patto a quattro (Pd, Forza Italia, Cinque Stelle e Lega) comincia a vacillare vistosamente.

Alla prima votazione, quella sulle pregiudiziali di costituzionalità, si materializzano nel segreto dell'urna i primi franchi tiratori: «Quasi cento dice il capogruppo Pd Ettore Rosato e ricordatevi cosa successe quando furono 101». I famosi 101 che affondarono Prodi al Quirinale, e con lui l'aspirante premier Bersani. Un grosso rischio in vista delle votazioni successive, molte delle quali a scrutinio segreto.

L'epicentro del sisma è tutto in casa grillina: il gruppo parlamentare è spaccato, la base (aizzata contro «l'inciucio» dal Fatto Quotidiano e da quel pezzo di gruppo dirigente che teme di veder falciati dalla Casaleggio gli eletti delle proprie correnti) ribolle di indignazione e insulta il guru per aver ceduto a Renzi e Berlusconi, e nel quartier generale M5s i conti non tornano. Le simulazioni di voto col modello tedesco sembrano penalizzare i grillini, che nei collegi rischiano di non eleggere nessuno. E il voto a settembre preoccupa molto Beppe Grillo e Davide Casaleggio: c'è il rischio di una batosta nelle amministrative di domenica, e il penoso crollo di immagine degli amministratori pentastellati, a cominciare da Raggi e Appendino, sta erodendo consensi. Così, in mattinata, i messi di Grillo si inventano un ultimatum: o si rimettono le preferenze e si introduce il voto disgiunto (che a Costituzione vigente è improponibile) oppure i Cinque Stelle non garantiscono nulla sul voto. Una giravolta pretestuosa, visto che Grillo ha sottoscritto l'accordo sul tedesco (solo pochi giorni fa) proprio per evitare le preferenze del Consultellum, che impedirebbero alla Casaleggio di determinare i prossimi gruppi parlamentari. Ma è il segnale che serviva al vasto sottobosco di coloro che, in Parlamento, non vogliono la nuova legge e soprattutto le elezioni a settembre. Peones di tutti i gruppi che temono di non rivedere più lo scranno, partitini (dai centristi a Mdp) atterriti dalla soglia del 5%, e soprattutto i nemici di Matteo Renzi. E infatti nel Pd alza la testa il drappello dei «napoletaniani», ossia la corrente che fa capo ad Andrea Orlando e segue le indicazioni dell'ex capo dello Stato: «Se salta il patto noi non ci stiamo più, i nostri non li teniamo». Un tana libera tutti, insomma. Del resto l'anatema scagliato dall'ex presidente della Repubblica contro il «patto extracostituzionale» (che poi è un'intesa siglata dall'80% del Parlamento, ma fa niente) e contro il voto anticipato e chi lo consentirebbe (leggi Mattarella) è ancora fresco.

I Cinque stelle chiedono tempo fino a martedì guarda caso dopo le Amministrative - e per uscire dal virulento scontro interno inventano di dover far pronunciare nuovamente il cosiddetto blog (ossia i voti online pilotati dalla Casaleggio) prima del voto finale. Intanto la legge tedesca resta in balia delle onde e dei franchi tiratori in Parlamento, e oggi si votano gli emendamenti più a rischio, ossia quelli dei Cinque Stelle sulle preferenze, che a voto segreto potrebbero raccogliere consensi trasversali. «Sono passati due giorni due! e i grillini hanno già cambiato idea sulla legge da loro stessi proposta», dice Renzi. «Adesso è sovrano il Parlamento. Se passerà, bene.

Se qualcuno si tirerà indietro, gli italiani avranno visto la serietà del Pd che ha risposto all'appello del capo dello Stato».

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