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"Il leghista un vero capo Ma è presto per dire se sarà anche statista"

Il sociologo Francesco Alberoni analizza i due leader vittoriosi alle urne: "Di Maio è eterodiretto da Grillo"

"Il leghista un vero capo Ma è presto per dire se sarà anche statista"

Milano - I nuovi leader del Palazzo sotto la lente del sociologo. Francesco Alberoni si concentra sui due emergenti: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. «Hanno due profili opposti e ci raccontano due storie assai diverse. Salvini ha scalato la Lega, Di Maio è stato catapultato alla guida dei Cinque stelle».

Professore, cominciamo dai Cinque stelle.

«Da Beppe Grillo».

Un attimo, oggi il capo del partito non è Di Maio?

«No, il padrone assoluto del Movimento è Grillo».

Forse lei è rimasto indietro.

«Per niente. La leadership del giovane è delegata e revocabile».

Potrebbe essere sostituto?

«Certo. Di Maio, mettiamola cosi, è il direttore generale».

Insisto, non stiamo entrando in una fase nuova? I ruoli potrebbero cambiare.

«Per niente. Grillo è dietro il palco, ma resta il dominus. È lui che decide e non ha nessuna intenzione di andarsene».

Ma allora perché è stato scelto Di Maio?

«Perché è duttile, astuto, moderato. Nessuno nega le sue qualità, ma il Movimento resta saldamente nelle mani del suo fondatore che non ha interesse ad andare in prima linea. Di Maio non è stato chiamato per la sua oratoria, che non è quella strabiliante di Grillo, e nemmeno per elaborare le strategie che vengono pensate altrove, ma per seguire la linea dettata da chi sta sopra di lui».

Senza Grillo i Cinque stelle potrebbero sopravvivere?

«Sarebbe una catastrofe. Però è vero che Grillo senza Casaleggio non avrebbe mai creato il suo Movimento».

Il carisma da solo non bastava?

«Grillo è un trascinatore straordinario, ma aveva bisogno di qualcuno che gli costruisse il partito. L'incontro con Gianroberto Casaleggio è stato decisivo. Casaleggio era un anarchico, un sognatore, un utopista. Immaginava un mondo in cui tutti sono uguali, la democrazia diretta, il clic del computer come strumento di partecipazione».

Risultato?

«Casaleggio ha creato la macchina del consenso, Grillo ha caricato a molla le masse, offrendo loro un impasto di socialismo e giustizialismo. Il reddito di cittadinanza e l'indice puntato contro tutta la classe politica precedente».

I contenuti?

«Quali contenuti? Quel che conta è Grillo».

Ma la democrazia diretta?

«Alla fine, gira e rigira, chi vagheggia l'uno uguale a uno arriva all'uno per tutti».

Salvini?

«Salvini, a differenza di Grillo, governa dalla periferia».

La sua leadership?

«Non ha ricevuto l'investitura come Di Maio. No, si è conquistato lo scettro, andando contro tutto e tutti, a partire dal padre fondatore Umberto Bossi».

Perché l'ha fatto, per ambizione?

«No, perché aveva un'idea diversa da Bossi: la vecchia Lega si fermava al Po, lui è andato oltre».

Ma cosi non ha tradito le tavole della legge del Carroccio?

«No, ha tolto il vecchio limite geografico, caro al fondatore. Bossi sottolineava la questione settentrionale, ma la meta è identica per tutti e due. Il federalismo».

E Salvini non ha mandato in soffitta gli ideali?

«Neanche un po'. Ha sfatato consolidati pregiudizi. Perché non dovrebbe esistere una Lega marchigiana o una Lega di Forlimpopoli? Per intenderci, l'Italia come gli Stati Uniti. Semplice, ma di grande fascino».

Insomma, Salvini ha il dna del leader?

«Direi di sì. Ha anche una buona oratoria».

Ma la retorica non basta per arrivare in alto: come ha fatto a sconfiggere Bossi?

«Con le idee, ha convinto i suoi elettori e ha portato la Lega dal 4 al 17 per cento, seducendo milioni di elettori. Chapeau».

Si, ma gli italiani sono volubili. Anche Renzi aveva superato il 40 per cento.

«Renzi oggi è uno sconfitto».

Il suo primo errore?

«Avrebbe dovuto creare un suo partito, come Macron».

Invece è rimasto impigliato nelle faide fra le diverse fazioni.

«La gente votava lui, non il Pd. Forse si era illuso di poter addomesticare un partito che invece è più difficile da domare di una tigre del Bengala. L'hanno fatto fuori».

Anche i leader salgono e scendono. Oggi Salvini sembra pronto a prendere il posto di Berlusconi.

«Non sappiamo se Salvini possa diventare uno statista. Lo vedremo alla prova del governo, se ci arriverà. Berlusconi ha fatto i suoi errori, ma soprattutto ha pagato a caro prezzo la sua politica estera intraprendente. Voleva portare Putin nella Nato e questo gli americani non l'hanno tollerato e si sono vendicati. Da lì è partito il declino».

Pure i Cinque stelle potrebbero precipitare?

«Finché c'è Grillo lo escludo. Il Movimento è un partito organizzato, strutturato, forte, con un nocciolo duro e con una schiera di militanti ben inquadrati. È il paradosso della democrazia diretta: un partito che ricorda la Cuba comunista.

Con Grillo al posto di Fidel Castro».

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