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Migranti, l'ennesima giravolta della Ue: "No alla detenzione"

Il Consiglio smentisce la Commissione: «Allungare i tempi a 18 mesi rischia di violare i diritti umani»

Migranti, l'ennesima giravolta della Ue: "No alla detenzione"

Ci mancava solo l'ostruzionismo della Polonia sulla questione migranti nella due giorni del vertice dei 28 in svolgimento a Bruxelles. Il governo di Varsavia ha espresso riserve sulla bozza della dichiarazione di Roma che i leader dell'Ue discuteranno oggi. La premier polacca Beata Szydlo, unica a votare contro la rielezione alla presidenza del connazionale Donald Tusk, si è messa di traverso sul documento che dovrebbe consentire all'Ue di «agire insieme ogni volta che è possibile, ma a velocità e intensità diversa ogni volta che è necessario».

Il testo dovrebbe comunque passare con la nota del dissenso polacco, ma Varsavia minaccia di mettere un ulteriore veto al Vertice di Roma del 25 marzo. Sui migranti l'Ue rischia di andare in tilt, e il ministro dell'Interno italiano Marco Minniti teme che i terroristi possano unirsi alle rotte dei disperati. Tutto questo mentre si sta assistendo a un braccio di ferro tra Commissione e Consiglio d'Europa. La ragione del contendere è la detenzione dei migranti che la Commissione vuole estendere dai 12 a 18 mesi, provvedimento osteggiato dal Consiglio che parla di «violazione dei diritti umani». Lo ribadisce il delegato del Consiglio Nils Muiznieks, che invita i governi Ue a concentrarsi su misure alternative «e possibilmente più umane, per non privare i migranti delle loro libertà, rispettando famiglia e minori. Lunghi periodi di detenzione andrebbero a generare trattamenti inumani e degradanti». Una soluzione (al vaglio dei 28) potrebbe essere quella di restrizioni che vanno dal presentarsi regolarmente nei posti di polizia o nella confisca dei documenti, offrendo una tracciabilità del migrante mentre il suo status legale viene preso in esame.

La detenzione è il secondo passo di una filiera che parte da un'immigrazione massiccia e incontrollata. Per queste ragioni il ministro dell'Interno Minniti vuole mettere in agenda un summit a Roma tra partner europei (Italia, Germania, Francia e Spagna in prima fila) assieme ai Paesi del Nord Africa per gestire la crisi. Il titolare del Viminale ha parlato di accordi in fase di definizione per fermare i flussi dei migranti in Niger, e di un partenariato con l'Etiopia, dove transitano migliaia di disperati in fuga dai jihadisti della cellula di Al Shaabab. Il ministro non adopera giri di parole nell'affermare che i terroristi possano unirsi alle rotte dei migranti. «L'Isis sta perdendo terreno a Mosul e Raqqa. Non è escluso che i suoi militanti riescano a trovare posto sulle stesse imbarcazioni in viaggio nel Mediterraneo verso l'Italia. Se non sapremo risolvere questo problema perderemo gran parte delle nostre conquiste politiche, sociali, democratiche ed economiche».

La situazione di collasso del resto è dimostrato dai numeri, inconfutabili: l'anno scorso sono approdati in Italia 181.283 migranti, quasi tutti dalla Libia anche se quasi nessuno è di nazionalità libica. Nei primi due mesi del 2017 ammontano già a 15.760, in maggioranza spinti a migliorare le loro condizioni economiche. «Chi scappa dalla guerra e dalla fame ha il diritto d'asilo. Gli altri vanno rimpatriati», ha ribadito il ministro dell'Interno. Di quelli che hanno diritto d'asilo non dovrebbero occuparsene solo l'Italia e la Grecia, lo ribadisce una ricerca commissionata dal Parlamento europeo.

Gli esperti bocciano anche la proposta della Commissione Ue di consentire a uno Stato membro di sottrarsi allo schema di ricollocamento attraverso il pagamento di un contributo finanziario.

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