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L'ennesimo ritorno di Prodi: ora vuol fare il mediatore Onu

Il Professore si occupa di Africa e si sente stimato dalle tribù in guerra. Il solito rischio? Il fuoco amico

L'ex presidente del Consiglio Romano Prodi in abiti indiani
L'ex presidente del Consiglio Romano Prodi in abiti indiani

Roma - Romano Prodi, l'eterno candidato. Poche settimane dopo la seconda elezione per il Quirinale in cui è partito da favorito trovandosi poi con le pive nel sacco - in modo drammatico nel 2013, con quieta rassegnazione nel 2015 - ecco rispuntare il nome del Professore per un altro incarico, stavolta di rilievo internazionale: quello di mediatore per conto delle Nazioni Unite nella crisi libica.

In realtà la nomination di Prodi non è una sorpresa. Il professore da anni si occupa di Africa, è stato dal 2008 presidente di un gruppo di lavoro Onu-Unione Africana per studiare il rafforzamento delle missioni di peacekeeping nel continente, ha una grande esperienza, un prestigio internazionale tutto da giocare e una conoscenza approfondita dell'intricatissimo puzzle africano. Quel che sorprende è come si arriva a questa idea e che cosa c'è dietro.

Va detto che Prodi ha un lungo rapporto con la Libia e con Muhammar Gheddafi, il leader libico trucidato dagli insorti nel 2011 e fino a pochi giorni fa considerato - soprattutto a sinistra - un tiranno sanguinario, salvo ora essere rivalutato con il senno di poi come il male minore. Negli ultimi quindici anni non c'è stato solo Berlusconi a intrattenere con lui rapporti amichevoli. Nel 2004 un Gheddafi esultante per la fine dell'embargo Onu, ringrazia Prodi (anzi «mio fratello Romano») come uno dei principali artefici del successo. E quando nel 2008 Berlusconi conclude con Gheddafi il trattato di amicizia italo-libica più di qualcuno a sinistra sottolinea come ciò fosse l'esito del lavorìo dei precedenti governi di centrosinistra, soprattutto di quello Prodi, «il primo a dialogare con Gheddafi».

Così Prodi già nel 2011, anno dello scoppio della rivolta civile in Libia, dell'intervento militare internazionale e della deposizione e uccisione di Gheddafi, è in predicato per diventare mediatore Onu per la crisi nel Paese nordafricano. È l'Africa stessa a chiederlo. L'ex presidente del Sudafrica Thabo Mbeki scrive una lettera al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon il 15 agosto 2011 indicando in Prodi la persona giusta per trovare una soluzione politica al conflitto «perché conosce i principali attori coinvolti nella crisi a Tripoli e a Bengasi, perché conosce i leader delle principali tribù, che hanno anche fiducia in lui, perché conosce da vicino la situazione libica, di cui si è occupato per molti anni da primo ministro italiano e da presidente dell'Ue». Ancora più deciso l' endorsement di 25 tra ex presidenti ed ex primi ministri africani che pochi giorni dopo approvano un documento in cui supplicano il segretario dell'Onu di affidare la patata bollente all'ex leader dell'Ulivo. Curiosamente Ban Ki-Moon ignora questi consigli e dirotta Prodi da inviato speciale Onu su un altro scenario africano, il Mali.

Nel frattempo Gheddafi è deposto, la Libia festeggia la libertà più effimera che c'è. E qualcuno nel Paese nordafricano torna a pensare a Prodi come a uno che potrebbe essere utile: Ali Alahwai, segretario dell'associazione delle tribù libiche, scrive nel 2012: «Abbiamo inviato una lettera al presidente Romano Prodi chiedendogli il suo aiuto per iniziare un dialogo di riconciliazione, perché lui ha fatto tanto per il popolo libico durante la sua presidenza della Commissione europea e anche come primo ministro italiano mantenendo sempre una posizione realmente indipendente nelle relazioni con tutte le fazioni politiche». E anche durante il governo Renzi, nell'estate 2014, dalla Libia giungono due significativi appelli, l'uno da parte del primo ministro libico e l'altro da uno dei capi clan in lotta, per passare la pratica a Prodi, indicato come unica personalità riconosciuta autorevole dalle fazioni in conflitto.

Peccato che il 14 agosto 2014 quello stesso compito viene assegnato al diplomatico spagnolo Bernardino Leòn, che nei mesi successivi dimostrerà una chiara incapacità a sbrogliare una matassa anzi sempre più intricata. Dicono che il governo italiano non si sia speso più di tanto per il Professore.

Che al fuoco amico del resto è abituato.

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