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L'errore della Farnesina: aver emarginato Tobruk

Gli amici del generale sono Egitto e Russia. Con i quali il governo ha sbagliato a non trattare

L'errore della Farnesina: aver emarginato Tobruk

Le parole a volte fan più male delle bombe. E le sparate del generale Khalifa Haftar che minaccia di bombardare le nostre navi ne sono la dimostrazione. Se dal punto di vista militare possiamo tranquillamente infischiarcene, dal punto di vista politico diplomatico non possiamo fare a meno di preoccuparci. Quelle parole evidenziano infatti dell'incapacità del nostro governo di riequilibrare i rapporti con l'uomo forte di Tobruk e di negoziare con i suoi principali alleati. Certo i colpi bassi della Francia di Emmanuel Macron giocano un ruolo non da poco. Se non fosse appena rientrato dal tanto pubblicizzato incontro con il presidente francese e con il suo rivale Fayez Al Serraj Haftar si sarebbe, probabilmente, ben guardato dal spararla così grossa.

La Francia, però, si è semplicemente incuneata nella breccia aperta dagli errori di un'Italia che - sin dalla firma degli accordi per la formazione del governo libico di unità nazionale del dicembre 2015 - ha platealmente emarginato il generale. Proprio questa emarginazione ha spinto il generale nelle mani di una Francia pronta, già con Hollande, a garantirgli sostegno politico e militare. Ma se la rivalità con la Francia in Libia è quasi fisiologica assai più anomala è l'incapacità dimostrata dai governi Renzi e Gentiloni di trattare con i veri demiurghi di Haftar ovvero la Russia, gli Emirati Arabi e l'Egitto. A onore del vero Paolo Gentiloni un tentativo di ricucitura l'avviò. Nel maggio del 2016, quand'era ancora agli Esteri, ammise la necessità di riconoscere un ruolo al generale mentre i nostri servizi segreti iniziavano a far visita al quartier generale di Haftar. Con l'arrivo alla Farnesina di Angelino Alfano quel lavoro di ricucitura ha però evidenziato ampie smagliature. I «segnali positivi» annunciati ai primi di febbraio da Alfano, reduce da un colloquio con l' omologo russo Sergej Lavrov dedicato anche ai rapporti con Haftar, non si sono mai materializzati. E il lavoro dell'ambasciatore Francesco Perrone, ospitato ad aprile nella base di Haftar, non sembra, per ora, garantire risultati migliori.

Certo il caso Regeni rende assai complessi i rapporti con l'Egitto ovvero con il principale e più strenuo alleato di Haftar. Anche su questo fronte stride però l'incapacità dell'Italia d'affiancare alla necessaria determinazione nel risolvere un caso gravissimo quella dose d'indispensabile realpolitik essenziale per difendere gli interessi nazionali. Plateale è invece l'incapacità dell'Italia d'ingaggiare l'altro alleato di ferro di Haftar, ovvero quegli Emirati Arabi con cui Renzi, dopo i viaggi ad Abu Dhabi e il ricevimento a Palazzo Vecchio del principe ereditario, prometteva di esser pappa e ciccia. La politica italiana in Libia appare insomma evidentemente zoppa.

Mentre la gamba guidata dal Viminale fa passi da gigante quella più strettamente diplomatica, governata dalla Farnesina, continua ad apparire sofferente e mutilata.

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