Economia

L'Europa bastona la Apple ma ora rischia l'isolamento

La maxi-multa mina i rapporti con gli Stati Uniti dopo la Brexit. E la tensione con Russia resta alta

L'Europa bastona la Apple ma ora rischia l'isolamento

Nel secolo scorso l'Ue era ancora, sotto molti rispetti, il centro del mondo. Oggi, all'alba del Terzo millennio, siamo ogni giorno di più una Unione piena di contrasti interni, che perde pezzi per strada, in allarmante declino demografico e che per di più tende a isolarsi e farsi del male da sola, accendendo dispute spesso capziose con alleati e vicini. Siamo sempre meno in grado di risolvere i nostri problemi interni, come la necessità di una più equa distribuzione dei profughi o il coordinamento nei respingimenti dei migranti economici provenienti dal Terzo mondo, ma non sappiamo neppure proiettare verso l'esterno in modo razionale quel po' di forza che ancora ci rimane. Gli esempi si sprecano. Il più recente è l'azione intrapresa dalla commissaria alla Concorrenza, la svedese Margrethe Vestager (non a caso proveniente dall'estrema sinistra) contro Apple e il governo irlandese, accusati di avere «eluso» in combutta tra loro - 13 miliardi di tasse. È possibile che, stabilendo il suo quartier generale europeo nel Paese con la più bassa tassa societaria (12,5%) e negoziando con Dublino condizioni particolari, l'azienda di Cupertino abbia effettivamente pagato meno del dovuto secondo le strette norme di Bruxelles.

Visto che lo stesso economista americano Kleinbard ammette che «le multinazionali Usa sono grandi maestre in questo genere di operazioni», è probabile che il procedimento avviato dalla Commissione abbia non solo solide fondamenta giuridiche, ma possa anche giovare alle finanze dei vari Paesi europei in cui Apple è attiva. Ma i responsabili hanno pensato alle sue possibili conseguenze a lungo termine, cioè alle incertezze che la loro iniziativa ha creato e soprattutto all'incidenza sugli investimenti americani in Europa che continuano a creare decine di migliaia di posti di lavoro? Non si direbbe: è invece certo che la Vestager ha aperto con l'America un contenzioso dall'esito incerto, ma che avrà ripercussioni negative quasi immediate sui rapporti tra le due sponde dell'Atlantico.

Gli americani hanno già fatto sapere che, dichiarando guerra agli accordi delle multinazionali con singoli stati membri (e con 13 miliardi si è toccata una cifra record), la Commissione ha esercitato poteri che non le spettano. Se a questo si aggiunge l'ormai quasi certo fallimento delle trattative per creare una zona transatlantica di libero scambio e di uniformazione degli standard, fortemente osteggiata dalla Germania, non si può certo essere ottimisti in materia; non da ultimo perché chiunque vinca le presidenziali americane sarà meno interessato dei suoi predecessori ai rapporti con un'Unione che sta perdendo la Gran Bretagna, non solo uno dei suoi Paesi più importanti, ma anche quello storicamente più vicino a Washington. Una perdita certo dovuta ai capricci di un elettorato che ha votato più con la pancia che con la testa, ma anche a certe rigidità di Bruxelles. Se le relazioni transatlantiche della Ue rischiano di essere seriamente compromesse, non vanno molto meglio quelle con i suoi vicini europei. Il sogno coltivato ai tempi di Eltsin di integrare la nuova Russia nella sfera d'influenza europea è naufragato da tempo, ma ora i rapporti vanno addirittura peggiorando, e non solo per colpa di Putin. Gli spesso maldestri tentativi di allargare la sfera di influenza europea a Paesi come l'Ucraina e la Georgia che facevano parte della vecchia Urss hanno contribuito all'irrigidimento del Cremlino, con conseguente invasione della Crimea e tentativo di impadronirsi delle province del Donbass; l'Occidente ha a sua volta replicato con sanzioni che hanno severamente ridotto l'interscambio commerciale tra Mosca e la Ue, con grave danno di entrambi, e resuscitando una specie di «cortina di ferro» che si sperava scomparsa per sempre. Purtroppo, nonostante qualche tentativo di compromesso, il dissidio sembra destinato a durare.

Ci sono poi i casi inversi. La Ue ha a lungo corteggiato la Turchia, offrendole perfino - sia pure tra profondi dissensi - l'adesione, solo per rendersi presto conto degli insolubili problemi che l'ingresso di un Paese sempre più autocratico e islamista avrebbe provocato: ma intanto siamo diventati ostaggi di Ankara, che potrebbe in qualsiasi momento tornare a inondarci di profughi, come pare abbia già ripreso a fare negli ultimi giorni. E anche sotto questo aspetto le prospettive sono nere: con le tendenze attuali, tra mezzo secolo il numero di immigrati sarà pari alla popolazione autoctona di un'Europa che non fa più figli.

Davvero, questa Unione non è messa bene: ma dissolverla, come qualcuno vorrebbe, peggiorerebbe soltanto le cose.

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