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L'ex capo dello Stato spinge per l'intervento in Libia e stuzzica Renzi: «Troppo criptico»

Massimiliano ScafiRoma Va bene «la prudenza», perché la situazione in Libia non è ancora chiara. D'accordo pure sul fatto che «prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte». Però insomma, dice Giorgio Napolitano, non esageriamo. «Non si può accettare l'idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo statuto delle Nazioni unite, sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana». Dunque, basta «equivoci», abbandoniamo «il pacifismo vecchia maniera» e prepariamoci a «quello che dobbiamo fare». Quanto a Renzi, «è stato un po' criptico».Tutto ciò mentre il Palazzo Chigi continua a frenare: il premier spera nei 101 deputati di Tobruk favorevoli a un governo di unità nazionale e negli sforzi della diplomazia. E il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, parlando al Senato, avverte che «non ci faremo trascinare in avventure inutili e pericolose per la sicurezza nazionale», tanto meno senza un via libera dell'Onu. «Quello libico - spiega - non è teatro facile per esibizioni muscolari. Questo governo non è sensibile al rullar di tamburi e non si farà influenzare da radiose giornate interventiste». Il problema è che «in Libia ormai c'è un consolidamento del Daesh, con 5 mila combattenti concentrati nella area di Sirte e capaci di incursioni sia nella mezzaluna petrolifera che verso Nord-Ovest, cioè nella zona di Sabrata, al confine con la Tunisia», dove sono stati rapiti i quattro dipendenti italiani della Bonatti e dove si trovano i giacimenti di gas e petrolio dell'Eni. Perciò, conclude Gentiloni, «dobbiamo evitare il collasso della Libia, evitare che diventi una polveriera».Già nel 2011 Napolitano, all'epoca al Quirinale, aveva spinto un riluttante Silvio Berlusconi ad imbarcare l'Italia a fianco di Francia, Usa e Gran Bretagna nella guerra libica per cacciare Gheddafi. Ora il copione si ripete. Un altro governo esitante, un altro fronte internazionale pronto alla spedizione, un altro intervento di Napolitano per spingere Palazzo Chigi a muoversi.Il presidente emerito parla dopo Gentiloni e concorda con la linea della cautela. «Ho vissuto uno dei momenti più dolorosi da capo dello Stato accogliendo a Ciampino i nostri soldati caduti in Afghanistan. Sono esperienze che non auguro a nessuno di dover ripetere. Giustamente il governo ritiene indispensabili alcune condizioni». Però attenzione. «Generare l'illusione che non abbiamo la possibilità di interventi con le forze armate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce - spiega - sarebbe ingannare l'opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi». Napolitano invita quindi a «evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l'avanzata del terrorismo islamico». Dobbiamo «assumerci le nostre responsabilità per la sicurezza del Paese nei confronti dell'Isis». Non c'è solo la nostra Costituzione, «ma occorre tenere presente il capitolo 7 della Carta dell'Onu, che prevede che un intervento per prevenire o reprimere minacce alla sicurezza internazionale». Resta la prudenza di Palazzo Chigi. «Il punto interrogativo è se e quando si formerà il governo legittimo. Renzi ha detto che il tempo non è infinito.

La trovo una frase comprensibile anche se un po' criptica».

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