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L'ex premier dice no al Cav: la legge elettorale resta così

Lo stop del leader dem dopo l'intervista di Berlusconi al «Giornale». Ma a pressarlo è anche un pezzo del Pd

L'ex premier dice no al Cav: la legge elettorale resta così

Roma «Se ne riparla a settembre», taglia corto Matteo Renzi a chi lo incalza per avere una sua risposta all'appello di Silvio Berlusconi sulla necessità di riformare la legge elettorale. Appello dai toni forti: «Spero che Renzi abbia uno scatto da leader», perché altrimenti «rischia di essere il protagonista di una delle peggiori crisi che il paese abbia mai avuto», con la «impossibilità di far nascere un governo».

Timore che il leader del Pd aveva liquidato, qualche giorno fa, escludendo un rischio «instabilità». Renzi però sa che la partita della legge elettorale può diventare, in autunno, assai insidiosa per lui. Sa che partirà un pressing generalizzato, che comprenderà pezzi del suo partito (da Franceschini a Orlando a buona parte dei gruppi parlamentari); i vari partitini della sinistra, da Bersani a Pisapia; gli ex pezzi da novanta del centrosinistra come Romano Prodi e Enrico Letta. Persino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che più volte ha richiamato alla necessità di modificare l'attuale inguacchio elettorale cucinato dalla Consulta. Tutti mano nella mano con Berlusconi, per reclamare il premio di coalizione. Il Cavaliere, in subordine, mette sul tavolo anche la ripresa del famoso sistema tedesco, naufragato in aula alla Camera (grazie alla guerra tra le correnti grilline) nonostante il patto tra tutte le principali forze politiche. L'interesse di Berlusconi ad avere una delle due leggi elettorali è chiaro: col premio alla coalizione potrebbe presentarsi alleato con la Lega salviniana ma senza la camicia di Nesso del listone unitario (visto che attualmente il premio di maggioranza viene attribuito alla lista che superi il 40%). E con il tedesco ognuno corre per sé, e Forza Italia potrebbe tenersi le mani libere sulle alleanze post-elettorali.

L'interesse di Renzi ad impedire entrambe le ipotesi è altrettanto chiaro, come spiega un colonnello dem: «L'attuale sistema elettorale ci conviene per due motivi: intanto, perché schiaccia Berlusconi su Salvini e permette al Pd di presentarsi come unico argine ai populismi, come ripete sempre Matteo». E poi perché il sistema vigente ha uno sbarramento altissimo al Senato: l'8% regionale, che si abbassa al 3% solo per i partiti coalizzati, e dunque «costringerebbe Pisapia, se non vuole essere tagliato fuori da Palazzo Madama, a fare un'alleanza con noi». Lo stesso vale anche per Alfano: non a caso Renzi sta proponendo questo escamotage a Ncd, in cambio dell'alleanza in Sicilia. E non solo: un accordo con Alfano sull'alleanza al Senato avrebbe l'effetto aggiuntivo di blindare ulteriormente il sistema attuale, facendo mancare i voti centristi ad ogni ipotesi di modifica.

Alla ripresa autunnale, comunque, il Pd si dirà disponibile a lavorare sulla legge elettorale, in ossequio anche alle richieste del Quirinale. Contando sul fatto che sul premio di coalizione ci sarà la strenua opposizione di Cinque Stelle, «e nessuno si prenderà la responsabilità di forzare su una riforma non condivisa in fine legislatura», spiega un dirigente renziano, che definisce l'ipotesi premio di coalizione «fuori gioco». E «altamente improbabile» anche il ritorno sul tedesco, visto che i tempi parlamentari saranno strettissimi: a metà ottobre si apre la sessione di bilancio, con relative fibrillazioni in maggioranza. A novembre c'è il voto in Sicilia. Sempre in autunno, il Pd renziano vuole tornare alla carica sullo ius soli.

E alla Camera, dove sulla legge elettorale esiste il voto segreto, il rischio di agguati (ad esempio sulle preferenze) renderebbe l'«operazione tedesco» una sorta di roulette russa.

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