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Da liberale dissidente a icona della destra Orban e la vittoria che spaventa l'Europa

Il premier punta al terzo mandato, il suo partito «Fidesz» è largamente in vantaggio nei sondaggi. Ma l'alta affluenza alle urne potrebbe dare più peso alle opposizioni

Da liberale dissidente a icona della destra Orban e la vittoria che spaventa l'Europa

L'«uomo nero» dell'Ungheria, Viktor Orban, punta ad ipotecare il terzo mandato consecutivo come primo ministro. Nella tornata elettorale di ieri quasi 8 milioni di ungheresi avevano diritto al voto. I seggi si sono chiusi alle 19 con un'affluenza record del 68,1% che avrebbero potuto riservare sorprese a favore dell'opposizione. Invece no. La formazione di destra Fidesz del premier, dopo il 64% delle schede scrutinate, era avanti con un ottimo 49,15%. I sondaggi avevano predetto il risultato. Quasi impossibile che l'opposizione riesca a ribaltare il risultato, ma bisognerà vedere quale sarà il margine di vittoria dell'uomo forte magiaro.

In campagna elettorale Orban ha continuato a sbandierare il cavallo di battaglia della lotta all'immigrazione senza regole. «Dieci milioni di migranti musulmani sono pronti a invadere l'Europa dall'Africa e dal Medio Oriente» ha sostenuto il premier ungherese che governa da 8 anni. Nel 2015 l'Ungheria ha cominciato a costruire un «muro» al confine sud per fermare il flusso di 1 milione di migranti piombato in Europa attraverso la rotta balcanica. Davanti al seggio dove ha votato Orban negava di essere nemico dell'Unione europea, ma di volerla riformare seriamente. «L'Ue non è a Bruxelles, è a Berlino, a Budapest, Varsavia, Bucarest. L'Ue non significa Bruxelles, significa le capitali unite assieme», ha affermato. Adesso lo accusano di essere filo Putin ed euroscettico, ma si dimentica che è stato proprio Orban a battersi per fare entrare l'Ungheria nell'Unione europea e nella Nato.

In molti lo dipingono come l'«uomo nero» dell'Est Europa modello per i populisti del vecchio continente tacciato addirittura di autoritarismo, ma il premier ungherese ha un passato da liberale doc e fiero anticomunista.

Nel 1989 divenne famoso quando chiese il ritiro dell'Armata rossa dall'Ungheria davanti alla risepoltura di Imre Nagy e altri martiri magiari della rivolta del 1956 soffocata nel sangue dai sovietici. L'anno prima aveva difeso un dissidente dalla furia della polizia del regime comunista sull'orlo del crollo. Il suo nemico odierno numero 1, il discusso filantropo George Soros, aiutò il giovane Orban con una borsa di studio ad Oxford. Il movimento Fidesz dalla conquista del primo governo negli anni novanta si è spostato sempre più a destra, ma continua a far parte del Partito popolare europeo che raggruppa le formazioni politiche moderate del continente, come Forza Italia. Orban argina forze ancora più estremiste come lo Jobbik, che i sondaggi davano come suo principale inseguitore nella sfida elettorale.

Alla vigilia del voto il francese Joseph Daul, presidente del Ppe, ha auspicato che «Viktor Orbán continui a portare stabilità e prosperità ai cittadini ungheresi».

Più che un mezzo tiranno Orban ha intercettato gli umori della popolazione magiara. Il giro di vite che ridimensiona i poteri della Corte costituzionale ed il controllo quasi totale sui media preoccupa di più i politicamente corretti del mondo esterno, che la maggioranza degli ungheresi. Nonostante la crescente corruzione ed i servizi pubblici in crisi, Orban è riuscito a fare impennare l'economia con una crescita del 4% nel 2017. Ed il livello di disoccupazione è sceso a livelli minimi. La cosiddetta Orbanomics ha funzionato grazie alle nazionalizzazioni delle grandi aziende di servizi dalla telefonia, all'energia fino alle banche. Ed i 50 miliardi di euro ricevuti dalle casse Ue, dove l'Ungheria ne ha versati solo 11, hanno fatto il resto.

Nel 1996 Orban si era risposato in chiesa con la sua compagna di sempre Aniko Levai e nel tempo si è sempre più avvicinato alle profonde tradizioni cristiane del popolo magiaro.

Orban ripete da tempo che la politica sta entrando in una nuova era post ideologica, secondo i detrattori di «democrazia illiberale».

Le spinte nazionaliste e populiste, però, potrebbero venire clamorosamente premiate dagli elettori ungheresi.

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