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Libia, altro naufragio. E i centri di detenzione sono quasi al collasso

Nell'ultimo mese 2500 migranti intercettati e riportati sulla terraferma dai guardacoste

Libia, altro naufragio. E i centri di detenzione sono quasi al collasso

Un altro naufragio, un'altra tragedia. Nel pomeriggio di ieri al largo di Zuara, in Libia, un barcone con un centinaio di persone a bordo si è rovesciato: una quarantina di loro sono stati tratti in salvo dalla Guardia costiera libica, gli altri sono dispersi. Che in questi casi, purtroppo, significa probabilmente morti.

Sono giornate intensissime per i guardacoste di Tripoli, che con pochi e obsoleti mezzi si trovano a dover affrontare un flusso inarrestabile di migranti. Ieri ne hanno intercettati altri 115 su un barcone al largo di Sarman, a est di Tripoli. E hanno recuperato altri 6 corpi in mare che probabilmente sono di profughi coinvolti nell'altro naufragio recente, quello di venerdì in cui avevano perso la vita anche tre bambini piccoli.

Solo nell'ultimo mese, dal 21 al 28 giugno, 2.425 persone sono state intercettate in mare, soccorse e riportate sulla terraferma. Sono dati forniti dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati. In alcuni giorni, come il 24 giugno, sono state anche mille per volta. Almeno fino a quando l'Europa non si deciderà ad affrontare il problema in modo organico, coinvolgendo anche gli Stati da cui questi disperati si muovono, questo significa una sola cosa: che la coperta - da qualsiasi lato venga tirata - è sempre corta, e che a una diminuzione degli sbarchi sulle coste europee fa da contraltare una situazione sempre più ingestibile nei centri di detenzione in Libia.

L'ultima cifra ufficiale, pubblicata circa un mese fa dal governo era di settemila persone ripartite in 20 centri. Ma nell'ultimo mese i flussi sono di nuovo aumentati. Secondo Christine Petrè, la portavoce per la Libia dell'Oim, (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) il numero potrebbe essere salito addirittura a 10mila; tutte persone che, tra sovraffollamento delle strutture e afa, stanno sopravvivendo in condizioni estreme.

Emergenza a terra ed emergenza in mare, dunque. Emergenza ovunque. E la Libia chiede aiuto anche all'Italia. «Spero che arrivino il prima possibile gli aiuti che ci hanno promesso - ha detto il Capo di Stato maggiore della Marina Salem Rahuma -, abbiamo una collaborazione molto forte con Roma e sono sicuro faranno presto per il bene dei migranti». Si riferisce alle 12 motovedette, alle nuove attrezzature e all'attività di formazione degli equipaggi promesse di recente dal ministro dell'Interno Matteo Salvini che invece sono state definite «propaganda politica» da un altro ammiraglio libico, il portavoce della Guardia costiera Ayoub Qassem.

«Si tratta di gommoni e sono più piccoli delle imbarcazioni dei trafficanti, non ci serviranno a nulla e non li useremo», aveva detto Qassem prima che Rahuma ridimensionasse la sua uscita usando toni molto più amichevoli verso il governo italiano. Ma c'è una cosa su cui i libici non litigano tra loro, su cui sono tutti d'accordo: le Ong intralciano il lavoro.

Sulla propria pagina Facebook la Guardia costiera di Tripoli ha accusato in particolare Open Arms, facendo riferimento specifico a un episodio accaduto otto giorni fa. «Hanno molestato di nuovo una delle nostre pattuglie, la nave Ras Jedir, tentando di sobillare i migranti contro i guardacoste. Ed è una cosa che fanno sempre. Domenica 24 giugno, durante un salvataggio di 490 persone, da una nave della Proactiva Open Arms sono partiti due gommoni per effettuare un'azione di disturbo, il nostro equipaggio ha temuto che qualche migrante potesse saltare fuori bordo mentre la nave era in movimento o che si scatenasse il caos».

Quello che è accaduto è stato documentato in un video, pubblicato anch'esso, in cui si vede effettivamente una nave carica di profughi e un gommone in avvicinamento. E il post si conclude con un ultimatum: «Sappiano, Open Arms e le altre Ong, che pur continuando a dare prova di pazienza e saggezza siamo in grado di gestire queste azioni di disturbo».

Insomma un ultimo avvertimento bonario prima di arrivare allo scontro fisico.

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