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In lieve calo i disoccupati ma il Jobs Act è già scarico

I 71mila occupati in più tra maggio e giugno sono lavoratori autonomi. Sgravi del governo inefficaci

In lieve calo i disoccupati ma il Jobs Act è già scarico

In giugno sia l'occupazione che la disoccupazione sono cresciute di 0,1 punti rispetto a maggio. L'apparente paradosso si spiega con il fatto che si è ridotto il tasso di inattività che riguarda le persone che, pur potendo lavorare, non cercano un lavoro o lo hanno nell'economia sommersa. Così ci sono due modi di considerare questi dati: quello ottimista che punta sul fatto che è aumentata l'occupazione e si sono ridotto gli inattivi, cioè gli scoraggiati; e quello pessimista che fa notare che la disoccupazione in crescita, quando è allo 11,6 costituisce una anomalia sociale con cui non si può vivere in permanenza. Poiché è estate, consoliamoci con il lato buono. Le cose stanno migliorando: in giugno ci sono 71mila occupati in più su maggio; nei tre mesi dall'aprile al giugno ci sono 145mila occupati in più rispetto a gennaio-marzo. Ci sono 330mila occupati in più rispetto a un anno fa. Però, se il governo cerca di sostenere che questo aumento dipende dal successo del suo Jobs Act si pavoneggia con le penne altrui. Infatti il Jobs Act non ha alcun merito dei 71mila occupati in più del giugno, che sono tutti dovuti al lavoro autonomo, che ne ha creati 78mila, mentre nel lavoro dipendente se ne sono persi 7mila.

Il bazooka del Jobs Act, messo orgogliosamente in campo dal governo con il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti è oramai scarico. Si è esaurita la spinta iniziale, dovuta in gran parte al beneficio dello sgravio contributo temporaneo, che l'anno scorso era cospicuo e che si va assottigliando. Anche i dati dell'aumento di occupati del secondo trimestre sul primo e quelli su base annua mostrano che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, in questa dinamica occupazionale, ha un ruolo del tutto secondario, nonostante le sovvenzioni a spese del bilancio pubblico. Nel trimestre aprile-giugno i lavoratori autonomi, che sono al di fuori del Jobs Act, sono aumentati dello 1,1% rispetto al trimestre precedente; i lavoratori dipendenti invece sono aumentati solo dello 0,5%. Questo 0,5 è dovuto all'impennata dei lavoratori a termine che sono aumentati del 2,6% mentre i lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sono cresciuti solo dello 0,2%, ossia quasi zero.

Anche i dati su base annua confermano che l'aumento globale dell'occupazione riguarda di più il lavoro autonomo che quello dipendente; di più i contratti di lavoro dipendente a termine che quelli a tempo indeterminato. Infatti la crescita dei lavoratori indipendenti è l'1,5%, quella dei dipendenti è l'1,4%. L'aumento dei dipendenti con contratto a termine è lo 1,6% e quello dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato è lo 1,4. Quando dico che il bazooka del Jobs Act costituito dal nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato è oramai scarico, mi riferisco non solo ai dati mensili, ma anche a quelli trimestrali e annuali. Gran parte dei posti di lavoro, nel nuovo contratto a tempo indeterminato consistono della conversione di precedenti contratti a tempo determinato, che non godevano dello sgravio contributivo temporaneo spettante a quello nuovo. Con Renzi, non c'è stata alcuna storica riforma del mercato del lavoro, come quella tedesca. Per ora, contentiamoci di quel che abbiamo. Teniamo però presente che per avere più occupazione, ci vuole più libertà di contratto nei rapporti di lavoro, con orientamento alla produttività.

Ma, soprattutto, ci vuole una maggiore crescita del Pil, con più investimenti, meno spesa corrente, meno pressione fiscale, meno interferenze politiche e tecnocratiche col mercato.

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